Vincent van Gogh eseguì questo dipinto nel maggio 1890, due mesi prima della morte.
Figlio di un pastore protestante, van Gogh aveva conoscenza delle Scritture e della letteratura cristiana, in cui riconosceva un messaggio di redenzione che toccava le corde più profonde della sua sensibilità.
È uno dei pochissimi soggetti religiosi dipinti da Van Gogh. Fu realizzata immediatamente dopo il recupero da una ricaduta della malattia, nell’ospedale psichiatrico di Saint-Remy in Provenza e può essere visto come il desiderio di trovare conforto nella religione, come una via d’uscita dalla depressione. La pittura, infatti, era, per lui, come una forma di terapia
Dopo oltre un anno trascorso in quel luogo, estromesso da ogni consesso sociale, forse era lui il primo a sentire il desiderio di essere abbracciato da un “buon samaritano”. Qualcuno che per il quale lui fosse il “prossimo”.
Van Gogh è anche un artista molto “obbediente”. Non ama reinventare soggetti che ritiene così profondi e importanti. Così si appoggia sull’immagine di un artista, Eugéne Délacroix, per il quale nutriva la massima venerazione. In sostanza si mette alla sua sequela.
«Ho dipinto una copia del Buon Samaritano di Delacroix»: così scrive Vincent Van Gogh al fratello Teo agli inizi di maggio 1890.
La scena si svolge lungo un sentiero, su una strada fuori città. Al centro vediamo il “buon samaritano” mentre issa faticosamente sul cavallo il malcapitato che, secondo la parabola evangelica, è incappato nei briganti:
Prima di soffermarci sui protagonisti della scena, osserviamo quel che accade intorno. Sulla sinistra, il sentiero prosegue fuggendo tra le colline. Lungo il sentiero scorgiamo due figure che danno le spalle al dolore del viandante e all’intervento del samaritano:
Il loro “nanismo”, che suona un po’ come una sentenza, è esasperato dal contrasto con l’energia fisica messa in campo, per necessità, dal soccorritore
Una splendida comparazione tra il loro stato d’animo, votato all'indifferenza e la loro collocazione “evanescente” all'interno dell'opera
Che cosa c’è di tanto perturbante nella sofferenza di chi incontriamo lungo il nostro cammino? Diverse le risposte possibili. Il dolore dell’altro non lascia indifferente, anzi sembra riversarsi con una forza che incute timore.
Farsi carico del dolore degli altri costa uno sforzo, come ben messo in luce dalla silhouette del Samaritano. Al dolore del viandante nel quadro corrisponde lo sforzo del samaritano che, col busto piegato indietro e i muscoli tesi, solleva il ferito dopo averlo medicato, come si vede dalla fascia sulla testa e dalla valigetta aperta per terra. Quest’ultimo, da parte sua, pare stringere il soccorritore in un abbraccio, un gesto che avanza una richiesta e allo stesso tempo mostra un fiducioso abbandono.
È questo il dettaglio più bello e commovente del quadro: quel suo farsi carico del corpo del ferito nella dimensione concreta, quel suo inarcarsi per lo sforzo di sollevarlo e metterlo sul cavallo.
In un’epoca in cui domina la regola del distanziamento, quel corpo a corpo, così concreto e così disinteressato, un’immagine come questa ci fa respirare. Ci restituisce una dimensione piena dell’umano, dove anche il toccare abbia una sua piena cittadinanza.
Ed è bello pensare a Gesù che, messo sotto pressione da personaggi che lo vorrebbero mettere alla prova, sgombra il campo, proponendo una situazione che disarma tutti. Così da quelle sue parole così esperte e persuasive ognuno può capire che è innanzitutto Lui il Buon Samaritano che ogni volta ci raccoglie e ci cura.
Il cielo è scuro, minaccia pioggia, ma su questa scena di solidarietà si apre uno squarcio d’azzurro.
Una diagonale attraversa, dall'angolo in alto a sinistra verso il basso a destra, il dipinto e divide in due triangoli e due differenti impostazioni cromatiche: nella parte superiore predominano i colori freddi e le linee ondulate, mentre in quella inferiore i colori sono caldi e i tratti brevi
Figlio di un pastore protestante, van Gogh aveva conoscenza delle Scritture e della letteratura cristiana, in cui riconosceva un messaggio di redenzione che toccava le corde più profonde della sua sensibilità.
È uno dei pochissimi soggetti religiosi dipinti da Van Gogh. Fu realizzata immediatamente dopo il recupero da una ricaduta della malattia, nell’ospedale psichiatrico di Saint-Remy in Provenza e può essere visto come il desiderio di trovare conforto nella religione, come una via d’uscita dalla depressione. La pittura, infatti, era, per lui, come una forma di terapia
Dopo oltre un anno trascorso in quel luogo, estromesso da ogni consesso sociale, forse era lui il primo a sentire il desiderio di essere abbracciato da un “buon samaritano”. Qualcuno che per il quale lui fosse il “prossimo”.
Van Gogh è anche un artista molto “obbediente”. Non ama reinventare soggetti che ritiene così profondi e importanti. Così si appoggia sull’immagine di un artista, Eugéne Délacroix, per il quale nutriva la massima venerazione. In sostanza si mette alla sua sequela.
«Ho dipinto una copia del Buon Samaritano di Delacroix»: così scrive Vincent Van Gogh al fratello Teo agli inizi di maggio 1890.
La scena si svolge lungo un sentiero, su una strada fuori città. Al centro vediamo il “buon samaritano” mentre issa faticosamente sul cavallo il malcapitato che, secondo la parabola evangelica, è incappato nei briganti:
Prima di soffermarci sui protagonisti della scena, osserviamo quel che accade intorno. Sulla sinistra, il sentiero prosegue fuggendo tra le colline. Lungo il sentiero scorgiamo due figure che danno le spalle al dolore del viandante e all’intervento del samaritano:
Il loro “nanismo”, che suona un po’ come una sentenza, è esasperato dal contrasto con l’energia fisica messa in campo, per necessità, dal soccorritore
Una splendida comparazione tra il loro stato d’animo, votato all'indifferenza e la loro collocazione “evanescente” all'interno dell'opera
Che cosa c’è di tanto perturbante nella sofferenza di chi incontriamo lungo il nostro cammino? Diverse le risposte possibili. Il dolore dell’altro non lascia indifferente, anzi sembra riversarsi con una forza che incute timore.
Farsi carico del dolore degli altri costa uno sforzo, come ben messo in luce dalla silhouette del Samaritano. Al dolore del viandante nel quadro corrisponde lo sforzo del samaritano che, col busto piegato indietro e i muscoli tesi, solleva il ferito dopo averlo medicato, come si vede dalla fascia sulla testa e dalla valigetta aperta per terra. Quest’ultimo, da parte sua, pare stringere il soccorritore in un abbraccio, un gesto che avanza una richiesta e allo stesso tempo mostra un fiducioso abbandono.
È questo il dettaglio più bello e commovente del quadro: quel suo farsi carico del corpo del ferito nella dimensione concreta, quel suo inarcarsi per lo sforzo di sollevarlo e metterlo sul cavallo.
In un’epoca in cui domina la regola del distanziamento, quel corpo a corpo, così concreto e così disinteressato, un’immagine come questa ci fa respirare. Ci restituisce una dimensione piena dell’umano, dove anche il toccare abbia una sua piena cittadinanza.
Ed è bello pensare a Gesù che, messo sotto pressione da personaggi che lo vorrebbero mettere alla prova, sgombra il campo, proponendo una situazione che disarma tutti. Così da quelle sue parole così esperte e persuasive ognuno può capire che è innanzitutto Lui il Buon Samaritano che ogni volta ci raccoglie e ci cura.
Il cielo è scuro, minaccia pioggia, ma su questa scena di solidarietà si apre uno squarcio d’azzurro.
Una diagonale attraversa, dall'angolo in alto a sinistra verso il basso a destra, il dipinto e divide in due triangoli e due differenti impostazioni cromatiche: nella parte superiore predominano i colori freddi e le linee ondulate, mentre in quella inferiore i colori sono caldi e i tratti brevi