San Pietro (morto ca. nel 67) fu uno dei dodici Apostoli di Gesù Cristo del Nuovo Testamento. Il suo nome originale era Simone (ebraico שמעון Šim‘ôn, Shim'on "ascoltare"), ma venne soprannominato Pietro, che significa pietra in greco (Petros). San Paolo lo chiamava Cephas o Kephas, che è l'equivalente aramaico del soprannome. Pietro da molti era soppranominato il Zelota, perchè si racconta che facesse parte del Partito dei Zeloti, una fazione anti-romana dell'epoca che voleva liberare la terra di Caanan dal domino di Roma Imperiale. Prima di diventare un discepolo di Gesù, Simone (ovvero, Pietro) era stato un pescatore. Nato probabilmente a Betsaida, sulla riva orientale del Lago di Tiberiade, e vissuto a Cafarnao, dove incontrò Cristo, Pietro era sposato ed aveva un fratello di nome Andrea.
Secondo quanto riportato dal Vangelo secondo Luca, cap. 5, (vedi anche Vangeli), Simone incontrò per la prima volta Gesù quando questi salì sulla sua barca per predicare a una folla che aveva radunato sulla riva del Lago di Genezaret.
Dopo che ebbe finito di predicare, Gesù chiese a Simone di portare la barca al largo per prendere dei pesci. Simone espresse dubbi sul fatto che sarebbero riusciti a pescare qualcosa, perché avevano pescato per tutta la notte precedente senza prendere niente. Ma alla fine presero un grosso numero di pesci quel giorno e Simone si vergognò di aver dubitato di Gesù. Ad ogni modo, Gesù gli chiese di diventare un discepolo, dicendo "Non aver paura; d'ora in poi sarai pescatore di uomini!" (Luca 5,1-11).
Secondo i Vangeli, Simone fu la prima persona a professare la fede che Gesù fosse il figlio di Dio e l'evento accelerò l'adozione del suo nuovo nome, "Pietro". Il Vangelo secondo Matteo, cap. 16, ci dice che Gesù chiese ai suoi discepoli chi pensavano che lui fosse e Simone rispose "Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente", Gesù disse, "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".
I Vangeli dicono anche che Gesù predisse correttamente che Pietro lo avrebbe rinnegato tre volte dopo il suo arresto. Ancora secondo il Vangelo di Matteo, la sera prima del Venerdì Santo, Gesù predisse ai suoi discepoli che si sarebbero separati da lui quella sera. Pietro rispose, "Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai", Gesù replicò, "In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". Il Vangelo ci dice quindi che Pietro in effetti negò di conoscere Gesù dopo che egli venne arrestato, allo scopo di evitare di essere arrestato lui stesso. Egli udì quindi in canto del gallo, ricordò quanto gli aveva detto Gesù e pianse (Matteo 26,33-35.69-75).
Il cap. 21 del Vangelo secondo Giovanni indica che Pietro venne martirizzato per crocifissione, e Clemente di Roma, ca. 95, colloca la sua morte all'epoca di Nerone. La tradizione seguente sostiene che i Romani lo crocifissero a testa in giù (su sua richiesta; egli non voleva paragonarsi a Gesù). Sulla strada verso la sua esecuzione, si dice, egli incontrò Gesù e chiese: Domine, quo vadis? ("Signore, dove stai andando?"). Altre versioni della storia sostengono che questo avvenne mentre Pietro stava fuggendo da Roma per evitare l'esecuzione; l'incontro lo fece tornare indietro.
La Crocifissione di San Pietro, Caravaggio, Chiesa di S. Maria del Popolo, Roma
I suoi scritti Il Nuovo Testamento comprende due lettere tradizionalmente attribuite a Pietro: la Prima lettera di Pietro e la Seconda lettera di Pietro. Basandosi sulla qualità del greco, molti studiosi dubitano che l'apostolo Pietro abbia veramente scritto queste lettere, ma le opinioni sono divise sul fatto che vennero stilate dal suo segretario (amanuense) o da un seguace dopo la sua morte.
Visione cattolica di Pietro
Nella tradizione seguente, Pietro è considerato il primo vescovo di Antiochia e in seguito vescovo di Roma. La Chiesa cattolica fa derivare il primato papale dall'affermazione di Gesù, contenuta nel capitolo 16 del Vangelo di Matteo, che Pietro sarebbe stato la pietra su cui avrebbe costruito la sua chiesa. La promessa sarebbe stata confermata anche dalle parole che Gesù pronunciò dopo la resurrezione: "Pasci le mie pecorelle". Visitò Gerusalemme, Corinto, Bari, fino ad arrivare a Roma, dove sembra che predicò fra le classi meno abbienti. Gli successe Papa Lino (67-76).
Secondo quanto riportato dal Vangelo secondo Luca, cap. 5, (vedi anche Vangeli), Simone incontrò per la prima volta Gesù quando questi salì sulla sua barca per predicare a una folla che aveva radunato sulla riva del Lago di Genezaret.
Dopo che ebbe finito di predicare, Gesù chiese a Simone di portare la barca al largo per prendere dei pesci. Simone espresse dubbi sul fatto che sarebbero riusciti a pescare qualcosa, perché avevano pescato per tutta la notte precedente senza prendere niente. Ma alla fine presero un grosso numero di pesci quel giorno e Simone si vergognò di aver dubitato di Gesù. Ad ogni modo, Gesù gli chiese di diventare un discepolo, dicendo "Non aver paura; d'ora in poi sarai pescatore di uomini!" (Luca 5,1-11).
Secondo i Vangeli, Simone fu la prima persona a professare la fede che Gesù fosse il figlio di Dio e l'evento accelerò l'adozione del suo nuovo nome, "Pietro". Il Vangelo secondo Matteo, cap. 16, ci dice che Gesù chiese ai suoi discepoli chi pensavano che lui fosse e Simone rispose "Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente", Gesù disse, "Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli".
I Vangeli dicono anche che Gesù predisse correttamente che Pietro lo avrebbe rinnegato tre volte dopo il suo arresto. Ancora secondo il Vangelo di Matteo, la sera prima del Venerdì Santo, Gesù predisse ai suoi discepoli che si sarebbero separati da lui quella sera. Pietro rispose, "Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai", Gesù replicò, "In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". Il Vangelo ci dice quindi che Pietro in effetti negò di conoscere Gesù dopo che egli venne arrestato, allo scopo di evitare di essere arrestato lui stesso. Egli udì quindi in canto del gallo, ricordò quanto gli aveva detto Gesù e pianse (Matteo 26,33-35.69-75).
Il cap. 21 del Vangelo secondo Giovanni indica che Pietro venne martirizzato per crocifissione, e Clemente di Roma, ca. 95, colloca la sua morte all'epoca di Nerone. La tradizione seguente sostiene che i Romani lo crocifissero a testa in giù (su sua richiesta; egli non voleva paragonarsi a Gesù). Sulla strada verso la sua esecuzione, si dice, egli incontrò Gesù e chiese: Domine, quo vadis? ("Signore, dove stai andando?"). Altre versioni della storia sostengono che questo avvenne mentre Pietro stava fuggendo da Roma per evitare l'esecuzione; l'incontro lo fece tornare indietro.
La Crocifissione di San Pietro, Caravaggio, Chiesa di S. Maria del Popolo, Roma
I suoi scritti Il Nuovo Testamento comprende due lettere tradizionalmente attribuite a Pietro: la Prima lettera di Pietro e la Seconda lettera di Pietro. Basandosi sulla qualità del greco, molti studiosi dubitano che l'apostolo Pietro abbia veramente scritto queste lettere, ma le opinioni sono divise sul fatto che vennero stilate dal suo segretario (amanuense) o da un seguace dopo la sua morte.
Visione cattolica di Pietro
Nella tradizione seguente, Pietro è considerato il primo vescovo di Antiochia e in seguito vescovo di Roma. La Chiesa cattolica fa derivare il primato papale dall'affermazione di Gesù, contenuta nel capitolo 16 del Vangelo di Matteo, che Pietro sarebbe stato la pietra su cui avrebbe costruito la sua chiesa. La promessa sarebbe stata confermata anche dalle parole che Gesù pronunciò dopo la resurrezione: "Pasci le mie pecorelle". Visitò Gerusalemme, Corinto, Bari, fino ad arrivare a Roma, dove sembra che predicò fra le classi meno abbienti. Gli successe Papa Lino (67-76).
San Lino di Tuscia è, come primo successore di Pietro, il primo Papa della storia alla guida della Chiesa cattolica. Probabilmente è il primo Papa eletto dalla propria comunità. Di lui, come di molti papi successivi, non abbiamo molte notizie oggettive sulla sua vita. Anche la data della sua nascita è conosciuta in maniera molto approssimativa. Era originario della Tuscia. Sono stati fatti molti studi sul significato della Tuscia. Secondo alcuni la Tuscia era parte nord-occidentale del Lazio, ai confini con la Toscana. Secondo Johann Heinrich Zedler era originario di Volterra, la madre si chiamava Claudia, e il padre Ercolano (Hercolanus) era un ricco possidente. Per altri, per Tuscia si intende l'antica Tuscolana.
Considerata la conformazione geografica, i mezzi di trasporto e la difficoltà degli spostamenti, al giorno d'oggi gli studiosi propendono per quest'ultima ipotesi.Trasferitosi a Roma per ragioni di studio, fu tra i primi a convertirsi al Cristianesimo e qui conobbe San Paolo, che accenna a lui nella seconda lettera a Timoteo.
Secondo Sant'Ireneo di Lione fu Papa per nove anni, dal 67 al 76, e la sua ascesa a capo della comunità cristiana a Roma avvenne subito dopo la morte dei due apostoli e martiri, la cui datazione oscilla tra il 64 e il 67. Sulla sua morte numerose sono le ipotesi: scampato alla persecuzione neroniana, più fonti, tra cui il Lier Pontificalis, ne adducono il decesso al martirio, probabilmente in qualche arena. Sempre in accordo con il Liber Pontificalis venne sepolto nei pressi del Vaticano, e nel 1615 fu recuperato a San Pietro un sarcofago, recante la parola Lino, attribuito erroneamente e repentinamente da Severano al primo Papa.
Ne smentì la validità Torrigio rivelando la presenza di altre lettere dietro l'iscrizione. La festa di San Lino è oggi celebrata il 23 settembre, giorno indicato dal Liber Pontificalis come data del martirio.
Altre fonti riportano invece che il primo successore di Pietro non morì in un'arena ma fu fatto decapitare dal console Saturnino il 23 settembre del 76. Sembra che sia stato San Lino a prescrivere alle donne di entrare in Chiesa con il capo coperto. Comunque, per l'annuario pontificio dei martiri redatto nel 1947, il nome di Lino martire è stato omesso, in mancanza di dati certi.
Dopo san Pietro c’è subito lui: Lino, secondo capo della Chiesa, primo papa italiano. Toscano d’origine, nato a Volterra: così dicono vari studiosi e il grande Cesare Baronio, lo storico cinquecentesco della Chiesa. A essi si unirà, il 24 settembre 1964 in San Pietro, Paolo VI, dicendo all’udienza generale: "Abbiamo con noi un gruppo di Volterra... La diocesi sorella... Sì, questo titolo le spetta, perché con san Lino ha dato alla Chiesa l’immediato successore di Pietro, il secondo papa". Sappiamo poco di Lino. Ignoti gli anni di nascita e di morte, la gioventù e gli studi. Uno dei Padri della Chiesa, Ireneo di Lione (II secolo), dice che Pietro e Paolo affidarono a Lino responsabilità importanti, e che Paolo ha citato proprio lui nella seconda lettera a Timoteo: "Ti salutano Eubulo, Pudente, Lino, Claudia e tutti i fratelli...". Sappiamo però che Lino vive tempi terribili con i cristiani di Roma. Nell’estate del ’64 un incendio distrugge i tre quarti dell’Urbe, e se ne incolpa l’imperatore Nerone.
Forse è una calunnia dei suoi molti nemici: ma lui reagisce col diversivo della persecuzione generale contro i cristiani. E a essi giunge l’incoraggiamento di san Pietro nella sua prima lettera: "Non vi sembri strana la prova del fuoco sorta contro di voi... anzi, rallegratevi per la parte che voi venite a prendere alle sofferenze di Cristo". Anche san Pietro muore in questa persecuzione (forse nel ’67) e gli succede Lino in tempo di delitto e di tragedia. Nerone muore nel ’68 (si fa trafiggere da un servo) e nello stesso anno c’è una strage di successori: Galba, sgozzato nel Foro; Ottone suicida; Vitellio linciato dai romani. Solo con Vespasiano, nel ’69, arrivano ordine e pace in Roma. Ma è scoppiata in Palestina la rivolta contro il dominio romano: la “guerra giudaica”, che finisce nel settembre ’70 con Gerusalemme occupata dalle truppe di Tito (figlio di Vespasiano) e col tempio profanato e distrutto: vicende laceranti per gli ebrei e anche per i cristiani e, per certuni, segnali di calamità universali imminenti, di una ben vicina fine del mondo. Lino è chiamato in questi suoi anni di pontificato (nove, si ritiene) a rianimare i fedeli, a orientarli nella confusione dottrinaria provocata dall’opera di gruppi settari.
E’ lui quello che deve tenere unita la Chiesa sotto l’uragano: e comincia a delinearne la forma organizzata, la “struttura”: sappiamo per esempio che ha nominato vescovi e preti, e ha dato regole alla pratica comune della fede. (Si attribuisce a lui l’obbligo per le donne di partecipare alla celebrazione eucaristica col capo coperto). Sarà anche venerato come martire, a causa delle sofferenze durante la persecuzione neroniana; ma non è certo che sia stato ucciso, perché nel tempo della sua morte la Chiesa viveva in pace sotto il governo di Vespasiano.
Considerata la conformazione geografica, i mezzi di trasporto e la difficoltà degli spostamenti, al giorno d'oggi gli studiosi propendono per quest'ultima ipotesi.Trasferitosi a Roma per ragioni di studio, fu tra i primi a convertirsi al Cristianesimo e qui conobbe San Paolo, che accenna a lui nella seconda lettera a Timoteo.
Secondo Sant'Ireneo di Lione fu Papa per nove anni, dal 67 al 76, e la sua ascesa a capo della comunità cristiana a Roma avvenne subito dopo la morte dei due apostoli e martiri, la cui datazione oscilla tra il 64 e il 67. Sulla sua morte numerose sono le ipotesi: scampato alla persecuzione neroniana, più fonti, tra cui il Lier Pontificalis, ne adducono il decesso al martirio, probabilmente in qualche arena. Sempre in accordo con il Liber Pontificalis venne sepolto nei pressi del Vaticano, e nel 1615 fu recuperato a San Pietro un sarcofago, recante la parola Lino, attribuito erroneamente e repentinamente da Severano al primo Papa.
Ne smentì la validità Torrigio rivelando la presenza di altre lettere dietro l'iscrizione. La festa di San Lino è oggi celebrata il 23 settembre, giorno indicato dal Liber Pontificalis come data del martirio.
Altre fonti riportano invece che il primo successore di Pietro non morì in un'arena ma fu fatto decapitare dal console Saturnino il 23 settembre del 76. Sembra che sia stato San Lino a prescrivere alle donne di entrare in Chiesa con il capo coperto. Comunque, per l'annuario pontificio dei martiri redatto nel 1947, il nome di Lino martire è stato omesso, in mancanza di dati certi.
Dopo san Pietro c’è subito lui: Lino, secondo capo della Chiesa, primo papa italiano. Toscano d’origine, nato a Volterra: così dicono vari studiosi e il grande Cesare Baronio, lo storico cinquecentesco della Chiesa. A essi si unirà, il 24 settembre 1964 in San Pietro, Paolo VI, dicendo all’udienza generale: "Abbiamo con noi un gruppo di Volterra... La diocesi sorella... Sì, questo titolo le spetta, perché con san Lino ha dato alla Chiesa l’immediato successore di Pietro, il secondo papa". Sappiamo poco di Lino. Ignoti gli anni di nascita e di morte, la gioventù e gli studi. Uno dei Padri della Chiesa, Ireneo di Lione (II secolo), dice che Pietro e Paolo affidarono a Lino responsabilità importanti, e che Paolo ha citato proprio lui nella seconda lettera a Timoteo: "Ti salutano Eubulo, Pudente, Lino, Claudia e tutti i fratelli...". Sappiamo però che Lino vive tempi terribili con i cristiani di Roma. Nell’estate del ’64 un incendio distrugge i tre quarti dell’Urbe, e se ne incolpa l’imperatore Nerone.
Forse è una calunnia dei suoi molti nemici: ma lui reagisce col diversivo della persecuzione generale contro i cristiani. E a essi giunge l’incoraggiamento di san Pietro nella sua prima lettera: "Non vi sembri strana la prova del fuoco sorta contro di voi... anzi, rallegratevi per la parte che voi venite a prendere alle sofferenze di Cristo". Anche san Pietro muore in questa persecuzione (forse nel ’67) e gli succede Lino in tempo di delitto e di tragedia. Nerone muore nel ’68 (si fa trafiggere da un servo) e nello stesso anno c’è una strage di successori: Galba, sgozzato nel Foro; Ottone suicida; Vitellio linciato dai romani. Solo con Vespasiano, nel ’69, arrivano ordine e pace in Roma. Ma è scoppiata in Palestina la rivolta contro il dominio romano: la “guerra giudaica”, che finisce nel settembre ’70 con Gerusalemme occupata dalle truppe di Tito (figlio di Vespasiano) e col tempio profanato e distrutto: vicende laceranti per gli ebrei e anche per i cristiani e, per certuni, segnali di calamità universali imminenti, di una ben vicina fine del mondo. Lino è chiamato in questi suoi anni di pontificato (nove, si ritiene) a rianimare i fedeli, a orientarli nella confusione dottrinaria provocata dall’opera di gruppi settari.
E’ lui quello che deve tenere unita la Chiesa sotto l’uragano: e comincia a delinearne la forma organizzata, la “struttura”: sappiamo per esempio che ha nominato vescovi e preti, e ha dato regole alla pratica comune della fede. (Si attribuisce a lui l’obbligo per le donne di partecipare alla celebrazione eucaristica col capo coperto). Sarà anche venerato come martire, a causa delle sofferenze durante la persecuzione neroniana; ma non è certo che sia stato ucciso, perché nel tempo della sua morte la Chiesa viveva in pace sotto il governo di Vespasiano.
Papa Anacleto, secondo vescovo di Roma, probabilmente la stessa persona di Papa Cleto.
Eusebio, Sant'Ireneo di Lione, Agostino e Optato considerano Cleto ed Anacleto essere la stessa persona, ma differiscono nell'ordine dei primi papi: Ireneo elenca Lino, Anacleto e Clemente, ma Agostino e Optato elencano Lino, Clemente e Anacleto. Il Catalogus Liberianus, il Carmen contra Marcionem e il Liber Pontificalis sostengono che Anacleto e Cleto fossero persone differenti.
Secondo i cataloghi Anacleto occupò il trono papale per dodici anni (ca. 77-88). Secondo alcuni era originario di Atene e la tradizione secondo la quale subì il martirio non è accertata. La tradizione vuole che sia di origine romana e discendente di pretoriani. Convertitosi al Cristianesimo, diede l'anima alla causa fino al martirio voluto da Domiziano per tentare di stroncare questa nuova religione. Durante il suo pontificato curò l'edificazione di un sepolcro presso la tomba di San Pietro, dove poi anch'egli venne sepolto e dove tutt'ora le sue reliquie sono conservate, trovandosi nella Chiesa di San Lino, nella Città del Vaticano. Inoltre, ordinò 25 sacerdoti ed il suo nome figura nelle orazioni del canone messale. Si festeggia il 13 luglio, tranne in Brasile, dove viene festeggiato il 27 aprile.
Anacleto ebbe un singolare destino: sdoppiato in due persone distinte, Cleto e Anacleto, aveva due feste nel Martirologio Romano, rispettivamente il 26 aprile e il 13 sbaglio, sfuggito anche al celebre e accurato Baronio, sembra essere stato determinato da un copista, il quale, vedendo abbreviato in qualche lista dei papi il nome di Anacleto in Cleto, ritenne di dover reinserire lo scomparso nome di Anacleto, senza tuttavia escludere l'abbreviazione. Sulla base degli studi del Duchesne, l'orientamento attuale è che Anacleto e Cleto siano una sola persona: perciò la Congregazione dei Riti nel 1960 abolì la festa del 13 luglio, lasciando solo quella del 26 aprile.
Ancor più severi sono stati gli estensori del nuovo calendario: "La memoria dei Ss. Cleto e Marcellino, introdotta nel Calendario romano nel sec. XIII, viene cancellata: si ignora il giorno della deposizione di S. Cleto, che non sembra sia stato martire; ugualmente si disputa della deposizione di S. Marcellino, che morì l'anno 304, quando infieriva con rigore la persecuzione di Diocleziano". Benché non martire, Anacleto, di origine ateniese, e che fu papa dal 79 al 90, si rese benemerito per aver edificato una memoria, cioè un sepolcro, a S. Pietro, presso il quale fu poi sepolto egli stesso.
Il caso di S. Marcellino è esattamente l'inverso, poiché si tentò di fare di lui e di S. Marcello una sola persona. Di S. Marcello parlammo già il 16 gennaio. Il Martirologio Romano ricorda S. Marcellino, oltre che il 26 aprile, anche il 25 ottobre, commemorando "il natale di S. Marcellino, Papa e Martire, il quale sotto Massimiano, insieme con Claudio, Cirino e Antonino, per la fede di Cristo fu decapitato... ". In realtà, sembra ormai certo che la qualifica del martirio venne riconosciuta a S. Marcellino per scopi apologetici: nel secolo V si era infatti diffusa una leggenda di origine donatista che calunniava la sua memoria, dicendo che egli aveva ceduto alla persecuzione, "consegnando" i libri sacri, ed era stato perciò un "traditor".
Già S. Agostino aveva reagito contro la calunnia, ma poichè la diceria continuava, con un espediente ben lontano dalla nostra sensibilità moderna, ma allora abbastanza comprensibile, si ammise la "caduta" di S. Marcellino, il quale però si sarebbe "riscattato" subendo il martirio: effetti della pubblica opinione! Altro non conosciamo di certo né della sua morte né della sua vita, se non che fu papa tra il 296 e il 304/305 e fu sepolto nel cimitero di Priscilla, presso il martire Crescenzione.
Eusebio, Sant'Ireneo di Lione, Agostino e Optato considerano Cleto ed Anacleto essere la stessa persona, ma differiscono nell'ordine dei primi papi: Ireneo elenca Lino, Anacleto e Clemente, ma Agostino e Optato elencano Lino, Clemente e Anacleto. Il Catalogus Liberianus, il Carmen contra Marcionem e il Liber Pontificalis sostengono che Anacleto e Cleto fossero persone differenti.
Secondo i cataloghi Anacleto occupò il trono papale per dodici anni (ca. 77-88). Secondo alcuni era originario di Atene e la tradizione secondo la quale subì il martirio non è accertata. La tradizione vuole che sia di origine romana e discendente di pretoriani. Convertitosi al Cristianesimo, diede l'anima alla causa fino al martirio voluto da Domiziano per tentare di stroncare questa nuova religione. Durante il suo pontificato curò l'edificazione di un sepolcro presso la tomba di San Pietro, dove poi anch'egli venne sepolto e dove tutt'ora le sue reliquie sono conservate, trovandosi nella Chiesa di San Lino, nella Città del Vaticano. Inoltre, ordinò 25 sacerdoti ed il suo nome figura nelle orazioni del canone messale. Si festeggia il 13 luglio, tranne in Brasile, dove viene festeggiato il 27 aprile.
Anacleto ebbe un singolare destino: sdoppiato in due persone distinte, Cleto e Anacleto, aveva due feste nel Martirologio Romano, rispettivamente il 26 aprile e il 13 sbaglio, sfuggito anche al celebre e accurato Baronio, sembra essere stato determinato da un copista, il quale, vedendo abbreviato in qualche lista dei papi il nome di Anacleto in Cleto, ritenne di dover reinserire lo scomparso nome di Anacleto, senza tuttavia escludere l'abbreviazione. Sulla base degli studi del Duchesne, l'orientamento attuale è che Anacleto e Cleto siano una sola persona: perciò la Congregazione dei Riti nel 1960 abolì la festa del 13 luglio, lasciando solo quella del 26 aprile.
Ancor più severi sono stati gli estensori del nuovo calendario: "La memoria dei Ss. Cleto e Marcellino, introdotta nel Calendario romano nel sec. XIII, viene cancellata: si ignora il giorno della deposizione di S. Cleto, che non sembra sia stato martire; ugualmente si disputa della deposizione di S. Marcellino, che morì l'anno 304, quando infieriva con rigore la persecuzione di Diocleziano". Benché non martire, Anacleto, di origine ateniese, e che fu papa dal 79 al 90, si rese benemerito per aver edificato una memoria, cioè un sepolcro, a S. Pietro, presso il quale fu poi sepolto egli stesso.
Il caso di S. Marcellino è esattamente l'inverso, poiché si tentò di fare di lui e di S. Marcello una sola persona. Di S. Marcello parlammo già il 16 gennaio. Il Martirologio Romano ricorda S. Marcellino, oltre che il 26 aprile, anche il 25 ottobre, commemorando "il natale di S. Marcellino, Papa e Martire, il quale sotto Massimiano, insieme con Claudio, Cirino e Antonino, per la fede di Cristo fu decapitato... ". In realtà, sembra ormai certo che la qualifica del martirio venne riconosciuta a S. Marcellino per scopi apologetici: nel secolo V si era infatti diffusa una leggenda di origine donatista che calunniava la sua memoria, dicendo che egli aveva ceduto alla persecuzione, "consegnando" i libri sacri, ed era stato perciò un "traditor".
Già S. Agostino aveva reagito contro la calunnia, ma poichè la diceria continuava, con un espediente ben lontano dalla nostra sensibilità moderna, ma allora abbastanza comprensibile, si ammise la "caduta" di S. Marcellino, il quale però si sarebbe "riscattato" subendo il martirio: effetti della pubblica opinione! Altro non conosciamo di certo né della sua morte né della sua vita, se non che fu papa tra il 296 e il 304/305 e fu sepolto nel cimitero di Priscilla, presso il martire Crescenzione.
Papa Clemente I, generalmente noto come Clemente da Roma, o Clemente Romano (ca. 96), fu uno dei Padri Apostolici, e nella lista dei Papi occupa il terzo o il quarto posto, prima o dopo Papa Anacleto I. Non ci sono basi per identificarlo con Clemente dei Filippesi. Potrebbe essere stato un liberto di T. Flavio Clemente, che fu console con suo cugino, l'Imperatore Domiziano, nel 95. Una tradizione del IX secolo dice che venne martirizzato in Crimea nel 102; autorità precedenti dissero che era morto per cause naturali. Viene commemorato il 23 novembre.
Ne Il pastore di Hermas (Visioni II. 4. 3) viene fatta menzione di un Clemente il cui ufficio è di comunicare con altre chiese, e questa funzione ben si accorda con ciò che troviamo nella lettera alla chiesa di Corinto, per la quale Clemente è noto. Mentre si deve stare attenti ad applicare concetti posteriori al titolo di "vescovo" come venne applicato a Clemente, non c'è motivo di dubitare che fu una delle principali personalità della comunità cristiana a Roma, dove fin dai tempi di Paolo le varie congregazioni (Romani, cap.16) erano state unite in una chiesa officiata da presbiteri e diaconi (1 Clem. 40-42).
Questa lettera venne generata da una disputa nella chiesa di Corinto, che aveva portato all'espulsione di diversi presbiteri dal loro ufficio. La lettera non contiene il nome di Clemente, ma è intestata dalla Chiesa di Dio che alberga a Roma alla Chiesa di Dio che alberga a Corinto. Ma non c'è motivo di dubitare la tradizione universale che la ascrive a Clemente, o la data generalmente accettata, ca. 96. Nessuna pretesa viene fatta dalla Chiesa Romana di interferire sulle basi di un rango superiore; ancora è degno di nota che nei primi documenti al di fuori del canone che possiamo datare con sicurezza, la chiesa della città imperiale si fa avanti come pacificatrice per comporre i problemi di una chiesa in Grecia. Nulla si sa delle cause del malcontento; nessuna offesa morale viene addossata ai presbiteri, e la loro dimissione viene vista da Clemente come dispotica e ingiustificabile, e come una rivolta dei membri più giovani della comunità contro i vecchi.
Dopo un resoconto elogiativo della condotta passata della Chiesa Corinta, Clemente si addentra in una denuncia dei vizi e in una lode delle virtù, e illustra i suoi vari argomenti con copiose illustrazioni dalle scritture del Vecchio Testamento. Perciò egli spiana la strada al suo tardo rimprovero dei presenti disordini, che trattiene fin quando due terzi della sua epistola sono completati. Clemente è eccessivamente discorsivo, e la sua lettera raggiunge una lunghezza doppia della Lettera agli ebrei. Molte delle sue esortazioni generali sono molto indirettamente connesse con l'argomento pratico al quale la lettera è diretta, ed è molto probabile che venne stilata basandosi ampiamente sulle omelie con le quali era abituato edificare i suoi seguaci cristiani a Roma.
La familiarità di Clemente con il Vecchio Testamento indica che è un cristiano da lunga data piuttosto che un recente convertito. Apprendiamo dalla sua lettera (1.7) che la chiesa di Roma, per quanto sofferente delle persecuzioni, venne fermamente tenuta assieme da fede e amore, ed esibì la sua unità in un culto disciplinato. L'epistola venne letta pubblicamente di tanto in tanto a Corinto, e per il IV secolo il suo uso si era diffuso ad altre chiese. La troviamo allegata addirittura al famoso manoscritto Alessandrino (Codice Alessandrino) del Nuovo Testamento, ma ciò non implica che raggiunse mai il rango canonico. Questa epistola venne tradotta in almeno tre lingue in epoca antica: una traduzione del II o III secolo venne trovata in un manoscritto dell'XI secolo a Namur, in Belgio, e pubblicata da G. Morin nel 1894; un manoscritto Siriaco, oggi all'Università di Cambridge, venne trovato da R. L. Bensly nel 1876, e venne tradotto nel 1899; ed una traduzione copta è sopravvissuta in due copie in papiro, una pubblicata da C. Schmidt nel 1908 e l'altra da F. Rösch nel 1910.
Per la massa di letteratura cristiana delle origini che venne gradualmente associata al suo nome si veda Letteratura clementina.
L'epistola venne pubblicata nel 1633 da Patrick Young che la trasse dal Codice Alessandrino, nel quale un foglio verso la fine era mancante, così che la grande preghiera (capitoli 55 - 64) rimase sconosciuta. Nel 1875 (sei anni dopo la prima edizione di Joseph Barber Lightfoot) Philotheus Bryennius pubblicò un testo completo proveniente da un manoscritto di Costantinopoli (datato 1055), dal quale nel 1883 trasse la Didachè. Lightfoot fece uso delle traduzioni in latino e siriaco in un'appendice alla ristampa della prima edizione (1877); la sua seconda edizione, sulla quale stava lavorando all'epoca della sua morte, venne pubblicata nel 1890. La monografia di Adolf von Harnack, Einführung in die alte Kirchengeschichte (Leiden, 1929), è considerata l'inizio degli studi moderni su quest'opera.
Iconografia
Nell'arte, San Clemente può essere riconosciuto come un Papa con un'ancora e un pesce. Talvolta c'è in aggiunta una pietra miliare, chiavi, una fontana che spruzza alle sue preghiere o un libro. Può essere raffigurato mentre giace in un tempio sul mare.
Ne Il pastore di Hermas (Visioni II. 4. 3) viene fatta menzione di un Clemente il cui ufficio è di comunicare con altre chiese, e questa funzione ben si accorda con ciò che troviamo nella lettera alla chiesa di Corinto, per la quale Clemente è noto. Mentre si deve stare attenti ad applicare concetti posteriori al titolo di "vescovo" come venne applicato a Clemente, non c'è motivo di dubitare che fu una delle principali personalità della comunità cristiana a Roma, dove fin dai tempi di Paolo le varie congregazioni (Romani, cap.16) erano state unite in una chiesa officiata da presbiteri e diaconi (1 Clem. 40-42).
Questa lettera venne generata da una disputa nella chiesa di Corinto, che aveva portato all'espulsione di diversi presbiteri dal loro ufficio. La lettera non contiene il nome di Clemente, ma è intestata dalla Chiesa di Dio che alberga a Roma alla Chiesa di Dio che alberga a Corinto. Ma non c'è motivo di dubitare la tradizione universale che la ascrive a Clemente, o la data generalmente accettata, ca. 96. Nessuna pretesa viene fatta dalla Chiesa Romana di interferire sulle basi di un rango superiore; ancora è degno di nota che nei primi documenti al di fuori del canone che possiamo datare con sicurezza, la chiesa della città imperiale si fa avanti come pacificatrice per comporre i problemi di una chiesa in Grecia. Nulla si sa delle cause del malcontento; nessuna offesa morale viene addossata ai presbiteri, e la loro dimissione viene vista da Clemente come dispotica e ingiustificabile, e come una rivolta dei membri più giovani della comunità contro i vecchi.
Dopo un resoconto elogiativo della condotta passata della Chiesa Corinta, Clemente si addentra in una denuncia dei vizi e in una lode delle virtù, e illustra i suoi vari argomenti con copiose illustrazioni dalle scritture del Vecchio Testamento. Perciò egli spiana la strada al suo tardo rimprovero dei presenti disordini, che trattiene fin quando due terzi della sua epistola sono completati. Clemente è eccessivamente discorsivo, e la sua lettera raggiunge una lunghezza doppia della Lettera agli ebrei. Molte delle sue esortazioni generali sono molto indirettamente connesse con l'argomento pratico al quale la lettera è diretta, ed è molto probabile che venne stilata basandosi ampiamente sulle omelie con le quali era abituato edificare i suoi seguaci cristiani a Roma.
La familiarità di Clemente con il Vecchio Testamento indica che è un cristiano da lunga data piuttosto che un recente convertito. Apprendiamo dalla sua lettera (1.7) che la chiesa di Roma, per quanto sofferente delle persecuzioni, venne fermamente tenuta assieme da fede e amore, ed esibì la sua unità in un culto disciplinato. L'epistola venne letta pubblicamente di tanto in tanto a Corinto, e per il IV secolo il suo uso si era diffuso ad altre chiese. La troviamo allegata addirittura al famoso manoscritto Alessandrino (Codice Alessandrino) del Nuovo Testamento, ma ciò non implica che raggiunse mai il rango canonico. Questa epistola venne tradotta in almeno tre lingue in epoca antica: una traduzione del II o III secolo venne trovata in un manoscritto dell'XI secolo a Namur, in Belgio, e pubblicata da G. Morin nel 1894; un manoscritto Siriaco, oggi all'Università di Cambridge, venne trovato da R. L. Bensly nel 1876, e venne tradotto nel 1899; ed una traduzione copta è sopravvissuta in due copie in papiro, una pubblicata da C. Schmidt nel 1908 e l'altra da F. Rösch nel 1910.
Per la massa di letteratura cristiana delle origini che venne gradualmente associata al suo nome si veda Letteratura clementina.
L'epistola venne pubblicata nel 1633 da Patrick Young che la trasse dal Codice Alessandrino, nel quale un foglio verso la fine era mancante, così che la grande preghiera (capitoli 55 - 64) rimase sconosciuta. Nel 1875 (sei anni dopo la prima edizione di Joseph Barber Lightfoot) Philotheus Bryennius pubblicò un testo completo proveniente da un manoscritto di Costantinopoli (datato 1055), dal quale nel 1883 trasse la Didachè. Lightfoot fece uso delle traduzioni in latino e siriaco in un'appendice alla ristampa della prima edizione (1877); la sua seconda edizione, sulla quale stava lavorando all'epoca della sua morte, venne pubblicata nel 1890. La monografia di Adolf von Harnack, Einführung in die alte Kirchengeschichte (Leiden, 1929), è considerata l'inizio degli studi moderni su quest'opera.
Iconografia
Nell'arte, San Clemente può essere riconosciuto come un Papa con un'ancora e un pesce. Talvolta c'è in aggiunta una pietra miliare, chiavi, una fontana che spruzza alle sue preghiere o un libro. Può essere raffigurato mentre giace in un tempio sul mare.
Evaristo (ca. 97-105). Conosciuto anche con il nome di Aristo. Poco si sa di Evaristo. Secondo il Liber Pontificalis proveniva da una famiglia di origine ellenica, ma suo padre era un ebreo di Betlemme. Venne eletto durante il regno dell'Imperatore Romano Domiziano, il periodo della seconda persecuzione generale. Il Liber Pontificalis sostiene anche che egli divise Roma in sette diaconias. Gettò le basi del Collegio dei Cardinali. Iniziò la pratica della benedizione solenne dopo il matrimonio civile. Viene tradizionalmente considerato un martire, ma non ci sono prove storiche di ciò. Sant'Evaristo si celebra il 26 ottobre.
E’ nato a Betlemme. Come capo della Chiesa di Roma, ha ordinato sette diaconi, incaricandoli tra l’altro di ascoltare e trascrivere le sue prediche al popolo: erano i suoi “stenografi”. Ma di quelle prediche non conosciamo neppure una parola. Le scarse informazioni giunte a noi su papa Evaristo sono contenute nel Liber pontificalis, che è una raccolta cronologica di biografie di papi del VI secolo. Di Evaristo dice soltanto che ha ordinato quei diaconi e consacrato diciassette preti e quindici vescovi. Siamo dunque di fronte a un “papa senza voce”. Non conosciamo di lui neppure una parola, mentre del suo predecessore Clemente I ci è giunto un documento importantissimo: la lettera famosa agli agitati cristiani di Corinto, con l’affermazione solenne dell’autorità che al vescovo di Roma compete. Ma questa autorità di Clemente comincia a risultare fastidiosa per i vertici dell’impero. E nell’anno 97, sotto l’imperatore Nerva, egli viene arrestato e condotto poi in esilio nel Chersoneso Taurico (Crimea). Ha quindi dovuto lasciare ad altri il governo della Chiesa, e la sua scelta è caduta su Evaristo. Il quale dev’essere perciò una figura di punta nella comunità cristiana di Roma; un uomo nel quale papa Clemente deve avere la massima fiducia. Questo è ben più che probabile, secondo logica: però, come si è già detto, nessun documento ci parla di Evaristo e ci dice chi era e che cosa faceva prima della chiamata a quella responsabilità. E poi, oltre a quelle nomine di vescovi, preti e diaconi, della sua opera come papa non si sa nulla. Una tradizione assai antica afferma che Evaristo sarebbe morto martire sotto l’imperatore Traiano, e che poi avrebbero seppellito il suo corpo vicino alla tomba dell’apostolo Pietro. Ma di questo non esistono conferme attendibili. Ci si è pure domandati se Evaristo debba essere considerato vero papa (ossia non “vice”, “luogotenente”) dall’anno 97, quando Clemente va in esilio; oppure solo dal 101, anno in cui Clemente muore martire in Crimea, secondo Eusebio di Cesarea (IV secolo) nella sua Storia Ecclesiastica. Per Eusebio è chiaro: Clemente, dopo nove anni di pontificato (88-97) "trasmise il sacro ministero a Evaristo". Nessuna delega, insomma. Investitura piena. E anche ai tempi nostri l’Annuario pontificio indica Evaristo come papa a pieno titolo già nel 97.
E’ nato a Betlemme. Come capo della Chiesa di Roma, ha ordinato sette diaconi, incaricandoli tra l’altro di ascoltare e trascrivere le sue prediche al popolo: erano i suoi “stenografi”. Ma di quelle prediche non conosciamo neppure una parola. Le scarse informazioni giunte a noi su papa Evaristo sono contenute nel Liber pontificalis, che è una raccolta cronologica di biografie di papi del VI secolo. Di Evaristo dice soltanto che ha ordinato quei diaconi e consacrato diciassette preti e quindici vescovi. Siamo dunque di fronte a un “papa senza voce”. Non conosciamo di lui neppure una parola, mentre del suo predecessore Clemente I ci è giunto un documento importantissimo: la lettera famosa agli agitati cristiani di Corinto, con l’affermazione solenne dell’autorità che al vescovo di Roma compete. Ma questa autorità di Clemente comincia a risultare fastidiosa per i vertici dell’impero. E nell’anno 97, sotto l’imperatore Nerva, egli viene arrestato e condotto poi in esilio nel Chersoneso Taurico (Crimea). Ha quindi dovuto lasciare ad altri il governo della Chiesa, e la sua scelta è caduta su Evaristo. Il quale dev’essere perciò una figura di punta nella comunità cristiana di Roma; un uomo nel quale papa Clemente deve avere la massima fiducia. Questo è ben più che probabile, secondo logica: però, come si è già detto, nessun documento ci parla di Evaristo e ci dice chi era e che cosa faceva prima della chiamata a quella responsabilità. E poi, oltre a quelle nomine di vescovi, preti e diaconi, della sua opera come papa non si sa nulla. Una tradizione assai antica afferma che Evaristo sarebbe morto martire sotto l’imperatore Traiano, e che poi avrebbero seppellito il suo corpo vicino alla tomba dell’apostolo Pietro. Ma di questo non esistono conferme attendibili. Ci si è pure domandati se Evaristo debba essere considerato vero papa (ossia non “vice”, “luogotenente”) dall’anno 97, quando Clemente va in esilio; oppure solo dal 101, anno in cui Clemente muore martire in Crimea, secondo Eusebio di Cesarea (IV secolo) nella sua Storia Ecclesiastica. Per Eusebio è chiaro: Clemente, dopo nove anni di pontificato (88-97) "trasmise il sacro ministero a Evaristo". Nessuna delega, insomma. Investitura piena. E anche ai tempi nostri l’Annuario pontificio indica Evaristo come papa a pieno titolo già nel 97.
Alessandro I: Il Liber Pontificalis ci dice che era romano. È stato identificato, senza alcun fondamento, con Alessandro, un martire della Via Nomentana. Sant'Ireneo di Lione, scrivendo nel II secolo, lo riconosce come quinto Papa a succedere all'apostolo Pietro, anche se non dice niente del suo martirio. La sua festa liturgica viene celebrata il 3 maggio.
Nel Liber pontificalis è detto “natione Romanus, ex patre Alexandro, de regione caput Tauri”. Tale indicazione topografica allude alla zona vicina a S. Bibiana, all'estremità della V regione Augustea, dove L. Statilius Taurus, console nel 44 d.C., eresse i suoi horti e il suo forum e nel Medioevo fu detta Taurina la porta S. Lorenzo. Il suo pontificato va dall'anno 105 al 115. Quindi è indicato il suo martirio, avendo a compagni “Eventius presbiter et Theodolus diaconus”; sepolto sulla “via Numentana, ubi decollatus est, ab urbe Roma non longe, milliario VII, nonas mai”, cioè il 3 maggio.
Il Martirologio geronimiano alla stessa data segna: “Romae via Nomentana, miliario VII, natale sanctorum Eventi, Alexandri, Theodoli”. Manca ogni indicazione di episcopi, che dà sempre ai papi, e non lo mette al primo posto; queste due circostanze fecero dubitare al Fiorentini dell'identità del papa e del martire.
Nell'itinerario del VII sec. inserito da Guglielmo di Malmesbury nei Gesta Regum Anglorum, fuori della porta Nomentana è segnato: “In septimo miliario eiusdem viae sanctus papa Alexander, cum Eventio et Theodolo pausant ”. Questa notizia dipende dalla passio, come pure dalla passio dipende il Liber pontificalis. La passio fa i due compagni di Alessandro ambo presbyteri. Tutti sarebbero stati sepolti da Severina, moglie del comes Aureliano che li aveva condannati, “in septimo milliario ab urbe Roma via Numentana in praedium suum, Eventium et Alexandrum in uno posuit monumento, Theodolum vero solum in loco altero sepelivit”. La passio non ha valore storico, ed è ritenuta dal Duchesne non anteriore al sec. VI; vi si parla anche dei martiri Ermete, Quirino tribuno e di sua figlia Balbina.
Ma le indicazioni topografiche e l'unione dei tre nomi che ricorrono sia nel Liber pontificalis che nel Martirologio geronimiano, nella passio e nell'itinerario detto Malmesburiense sono risultate esatte quando nel 1855 si scoprì al VII miglio della via Nomentana un cimitero e un complesso basilicale con due tombe venerate. Sulla prima era stato eretto un altare con l'iscrizione:
...ET ALEXANDRO DELICATVS VOTO POSVIT DEDICANTE AEPISCOPO VRS(0)
L'Ursus fu identificato dal Duchesne con il vescovo di Nomentum di tal nome ricordato in una lettera del papa Innocenzo I (401-417). L'iscrizione è, dunque, dell'inizio del sec. V e dimostra che Alexander è nominato per ultimo, senza alcuna dignità gerarchica, rafforzando i dubbi espressi dal Duchesne. Il cimitero e i monumenti in esso contenuti non permettono in alcun modo una datazione così remota, come l'età di Traiano, ma si tratta di un cimitero locale, iniziato non prima della seconda metà del sec. III.
Nel Liber pontificalis è detto “natione Romanus, ex patre Alexandro, de regione caput Tauri”. Tale indicazione topografica allude alla zona vicina a S. Bibiana, all'estremità della V regione Augustea, dove L. Statilius Taurus, console nel 44 d.C., eresse i suoi horti e il suo forum e nel Medioevo fu detta Taurina la porta S. Lorenzo. Il suo pontificato va dall'anno 105 al 115. Quindi è indicato il suo martirio, avendo a compagni “Eventius presbiter et Theodolus diaconus”; sepolto sulla “via Numentana, ubi decollatus est, ab urbe Roma non longe, milliario VII, nonas mai”, cioè il 3 maggio.
Il Martirologio geronimiano alla stessa data segna: “Romae via Nomentana, miliario VII, natale sanctorum Eventi, Alexandri, Theodoli”. Manca ogni indicazione di episcopi, che dà sempre ai papi, e non lo mette al primo posto; queste due circostanze fecero dubitare al Fiorentini dell'identità del papa e del martire.
Nell'itinerario del VII sec. inserito da Guglielmo di Malmesbury nei Gesta Regum Anglorum, fuori della porta Nomentana è segnato: “In septimo miliario eiusdem viae sanctus papa Alexander, cum Eventio et Theodolo pausant ”. Questa notizia dipende dalla passio, come pure dalla passio dipende il Liber pontificalis. La passio fa i due compagni di Alessandro ambo presbyteri. Tutti sarebbero stati sepolti da Severina, moglie del comes Aureliano che li aveva condannati, “in septimo milliario ab urbe Roma via Numentana in praedium suum, Eventium et Alexandrum in uno posuit monumento, Theodolum vero solum in loco altero sepelivit”. La passio non ha valore storico, ed è ritenuta dal Duchesne non anteriore al sec. VI; vi si parla anche dei martiri Ermete, Quirino tribuno e di sua figlia Balbina.
Ma le indicazioni topografiche e l'unione dei tre nomi che ricorrono sia nel Liber pontificalis che nel Martirologio geronimiano, nella passio e nell'itinerario detto Malmesburiense sono risultate esatte quando nel 1855 si scoprì al VII miglio della via Nomentana un cimitero e un complesso basilicale con due tombe venerate. Sulla prima era stato eretto un altare con l'iscrizione:
...ET ALEXANDRO DELICATVS VOTO POSVIT DEDICANTE AEPISCOPO VRS(0)
L'Ursus fu identificato dal Duchesne con il vescovo di Nomentum di tal nome ricordato in una lettera del papa Innocenzo I (401-417). L'iscrizione è, dunque, dell'inizio del sec. V e dimostra che Alexander è nominato per ultimo, senza alcuna dignità gerarchica, rafforzando i dubbi espressi dal Duchesne. Il cimitero e i monumenti in esso contenuti non permettono in alcun modo una datazione così remota, come l'età di Traiano, ma si tratta di un cimitero locale, iniziato non prima della seconda metà del sec. III.
Sisto I è uno dei primi vescovi di Roma o Papi (circa 115-125), si suppone che sia stato un sacerdote e un martire. Tutte le fonti gli assegnano un episcopato di circa 10 anni e lo collocano durante il regno di Adriano. Il suo nome, probabilmente di origine greca, potrebbe stare a significare che fu il sesto successore di San Pietro. Governò la chiesa in un'epoca in cui la dignità pontificia era un preludio al martirio. Apparentemente era romano di nascita, benchè come per altri Papi che lo precedettero, non si abbiano molte notizie sulla sua vita.
La tradizione vuole che come papa abbia disposto che il calice e la patena, che servono per la celebrazione dell'eucarestia, potessero essere toccati solo dai sacerdoti. Dalla sua morte tutti i martiriologi antichi lo venerano come martire, ma poiché non ci sono dettagli sul tipo di martirio che patì, né prove, è stato depennato dal Calendario Universale della Chiesa. Viene ancora celebrato come santo il 6 aprile.
Verso la fine del suo regno anche l'imperatore Traiano ritenne di dover mitigare la propria politica persecutoria nei confronti dei cristiani, anche perchè l' "infamia" di essere cristiano serviva più spesso a risolvere faide politiche e famigliari che non a dirimere questioni religiose.
Questo clima di pseudo tolleranza, che non cambiò comunque i metodi e le persecuzioni, proseguì anche sotto l'imperatore Adriano il quale scrisse al proconsole d'Asia: "Se uno fa le sue accuse e dimostra che i cristiani operano contro le leggi, allora la colpa deve essere punita secondo la sua gravità. Ma se qualcuno si avvale di questo pretesto per calunniare allora ? quest'ultimo che deve essere punito".
In questa realtà nacque Sisto I, figlio di pastori romani, si presume sia assurto al soglio intorno al 115.
A Sisto primo si deve l'introduzione di molte norme di culto, tra le quali il divieto ai laici di toccare il il sacro calice e la patena (n.d.a : piattino di metallo dorato, argentato o di metallo nobile usato per la deposizione dell'Ostia consacrata) lasciando agli uomini di culto il privilegio di questi atti.
A Sisto I venne fatta risalire anche l'introduzione del triplice cantico "Sanctus" durante la celebrazione della messa (nda: tratto dal tardo latino mittere, mandare, inviare ... e soprattutto dalla formula finale del rito cristiano fondamentale della celebrazione eucaristica: ite missa est "andate, sei inviato!"), ma questo è dubbio, come è dubbia l' attribuzione, a Sisto, l'introduzione dell'acqua nella celebrazione del rito eucaristico e dell'acqua santa per le abluzioni ( n.d.a: queste ultime attribuite al suo predecessore, Alessandro I).
Viene celebrato come santo, ma dal Calendario Universale della Chiesa è stato depennato, perchè probabilmente non sub„ alcun martirio. La tradizione lo considera sepolto accanto al corpo di Pietro, come per altro tutti i predecessori ma, l'unica cattedrale dove ancora viene celebrato come santo è quella di Alatri (nda: cittadina in provincia di Frosinone).
La tradizione vuole che come papa abbia disposto che il calice e la patena, che servono per la celebrazione dell'eucarestia, potessero essere toccati solo dai sacerdoti. Dalla sua morte tutti i martiriologi antichi lo venerano come martire, ma poiché non ci sono dettagli sul tipo di martirio che patì, né prove, è stato depennato dal Calendario Universale della Chiesa. Viene ancora celebrato come santo il 6 aprile.
Verso la fine del suo regno anche l'imperatore Traiano ritenne di dover mitigare la propria politica persecutoria nei confronti dei cristiani, anche perchè l' "infamia" di essere cristiano serviva più spesso a risolvere faide politiche e famigliari che non a dirimere questioni religiose.
Questo clima di pseudo tolleranza, che non cambiò comunque i metodi e le persecuzioni, proseguì anche sotto l'imperatore Adriano il quale scrisse al proconsole d'Asia: "Se uno fa le sue accuse e dimostra che i cristiani operano contro le leggi, allora la colpa deve essere punita secondo la sua gravità. Ma se qualcuno si avvale di questo pretesto per calunniare allora ? quest'ultimo che deve essere punito".
In questa realtà nacque Sisto I, figlio di pastori romani, si presume sia assurto al soglio intorno al 115.
A Sisto primo si deve l'introduzione di molte norme di culto, tra le quali il divieto ai laici di toccare il il sacro calice e la patena (n.d.a : piattino di metallo dorato, argentato o di metallo nobile usato per la deposizione dell'Ostia consacrata) lasciando agli uomini di culto il privilegio di questi atti.
A Sisto I venne fatta risalire anche l'introduzione del triplice cantico "Sanctus" durante la celebrazione della messa (nda: tratto dal tardo latino mittere, mandare, inviare ... e soprattutto dalla formula finale del rito cristiano fondamentale della celebrazione eucaristica: ite missa est "andate, sei inviato!"), ma questo è dubbio, come è dubbia l' attribuzione, a Sisto, l'introduzione dell'acqua nella celebrazione del rito eucaristico e dell'acqua santa per le abluzioni ( n.d.a: queste ultime attribuite al suo predecessore, Alessandro I).
Viene celebrato come santo, ma dal Calendario Universale della Chiesa è stato depennato, perchè probabilmente non sub„ alcun martirio. La tradizione lo considera sepolto accanto al corpo di Pietro, come per altro tutti i predecessori ma, l'unica cattedrale dove ancora viene celebrato come santo è quella di Alatri (nda: cittadina in provincia di Frosinone).
Telesforo fu vescovo di Roma, e quindi Papa, all'incirca dal 126 al 137. Il suo pontificato iniziò durante il regno di Adriano, e finì durante il regno di Antonino Pio. Le tradizioni della messa di mezzanotte a Natale, della celebrazione della Pasqua di domenica, della settimana di Quaresima prima di Pasqua, e del canto del Gloria, vengono tipicamente attribuite al suo pontificato, ma alcuni storici dubitano che ciò sia corretto. Sant'Ireneo di Lione ci dice che Telesforo subì il martirio. Nella Martiriologia Romana la sua festa cade il 5 gennaio; la chiesa greca lo celebra il 22 febbraio. I Carmelitani venerano Telesforo come santo patrono dell'ordine poiché egli sostenne di aver vissuto come eremita sul Monte Carmelo.
Di origine greca o nativo della Magna Grecia; Ottavo papa, succedette a Sisto I nella sede di Roma e governò 11 anni, 3 mesi e 22 giorni, dal 125 al 136 d.C.
Non si conosce assolutamente nulla del suo pontificato, tuttavia le poche notizie, senza fondamento storico, ci vengono tramandate dal Liber Pontificalis vol. I, 129 secondo cui Telesforo istituì il digiuno quaresimale e l’introduzione delle tre Messe notturne di Natale con il canto del “Gloria in excelsis Deo”. Nel dare la serie dei primi papi, s. Ireneo asserisce nella sua nota opera Adversus haereses che Telesforo subì un ‘glorioso martirio’, affermazione ripetuta e confermata da Eusebio nella sua Historia ecclesiastica V, 6,4.
Morto a Roma, fu sepolto presso la tomba di s. Pietro in Vaticano.
Il Martirologio Romano e il Messale lo commemorano il 2 gennaio.
Una sua immagine si trova nella Cappella Sistina in Vaticano, dipinta nella cosiddetta Cerchia di Sandro Filipepi detto Botticelli.
Di origine greca o nativo della Magna Grecia; Ottavo papa, succedette a Sisto I nella sede di Roma e governò 11 anni, 3 mesi e 22 giorni, dal 125 al 136 d.C.
Non si conosce assolutamente nulla del suo pontificato, tuttavia le poche notizie, senza fondamento storico, ci vengono tramandate dal Liber Pontificalis vol. I, 129 secondo cui Telesforo istituì il digiuno quaresimale e l’introduzione delle tre Messe notturne di Natale con il canto del “Gloria in excelsis Deo”. Nel dare la serie dei primi papi, s. Ireneo asserisce nella sua nota opera Adversus haereses che Telesforo subì un ‘glorioso martirio’, affermazione ripetuta e confermata da Eusebio nella sua Historia ecclesiastica V, 6,4.
Morto a Roma, fu sepolto presso la tomba di s. Pietro in Vaticano.
Il Martirologio Romano e il Messale lo commemorano il 2 gennaio.
Una sua immagine si trova nella Cappella Sistina in Vaticano, dipinta nella cosiddetta Cerchia di Sandro Filipepi detto Botticelli.
Igino fu vescovo di Roma, e quindi Papa, all'incirca dal 136 al 140. Filosofo di origini ateniesi, nel suo breve papato istituì gli ordini minori e ordinò la gerarchia ecclesiastica, morì durante la persecuzione dell'imperatore Antonino Pio.
La "memoria" di S. Igino è stata cancellata dal Calendario rinnovato perché introdotta solo nel sec. XII; non si ha motivo di ritenere che S. Igino morì martire e se ne ignora il giorno della morte. Igino era nono di questa serie, unico a portare questo nome, successore di S. Telesforo "che diede una gloriosa testimonianza", cioè subì il martirio, sotto l'imperatore Adriano.
Il Liber Pontificalis e il Martirologio Romano affermano che anche Igino subì il martirio, l'11 gennaio (del 140?), durante la persecuzione di Antonino Pio, e fu sepolto "presso il corpo del beato Pietro in Vaticano". Sembra tuttavia improbabile, come abbiam detto, che Igino sia morto martire. Altri furono i suoi meriti. Durante il suo breve pontificato (136-140), diminuiti gli attacchi dei pagani contro "la nuova razza senza patria" (come venivano chiamati i cristiani), la Chiesa si vide minacciata all'interno dal proliferare di sètte eretiche.
Valentino e Cerdone avevano osato recarsi nella stessa Roma a spargervi l'eresia gnostica, un miscuglio di dottrine e pratiche religiose a carattere filosofico e mistagogico rette da questo principio fondamentale: c'è una fede comune che può bastare al volgo, ma vi è anche una scienza riservata ai dotti, che offre una spiegazione filosofica della fede comune. 1 due eretici vennero sconfessati da papa Igino che il Liber Pontificalis definisce "filosofo", di origine ateniese. Un filosofo, dunque, al timone della barca di Pietro nel momento giusto, quando la serpeggiante eresia gnostica tendeva ad assorbire la Rivelazione divina per farne solo una filosofia religiosa.
Igino si adoperò così per la preservazione dell'integrità del genuino insegnamento evangelico. Egli inoltre, anche sull'esempio del grande imperatore Adriano, che aveva creato un efficiente apparato burocratico che assicurava una saggia amministrazione dell'immenso impero romano, intervenne sulla struttura gerarchica, istituendo gli Ordini minori, che consentivano di migliorare il servizio della Chiesa e di preparare i candidati al sacerdozio mediante un avvicinamento progressivo ai santi misteri. A lui sembra risalire anche l'istituzione del padrinato per il battesimo.
La "memoria" di S. Igino è stata cancellata dal Calendario rinnovato perché introdotta solo nel sec. XII; non si ha motivo di ritenere che S. Igino morì martire e se ne ignora il giorno della morte. Igino era nono di questa serie, unico a portare questo nome, successore di S. Telesforo "che diede una gloriosa testimonianza", cioè subì il martirio, sotto l'imperatore Adriano.
Il Liber Pontificalis e il Martirologio Romano affermano che anche Igino subì il martirio, l'11 gennaio (del 140?), durante la persecuzione di Antonino Pio, e fu sepolto "presso il corpo del beato Pietro in Vaticano". Sembra tuttavia improbabile, come abbiam detto, che Igino sia morto martire. Altri furono i suoi meriti. Durante il suo breve pontificato (136-140), diminuiti gli attacchi dei pagani contro "la nuova razza senza patria" (come venivano chiamati i cristiani), la Chiesa si vide minacciata all'interno dal proliferare di sètte eretiche.
Valentino e Cerdone avevano osato recarsi nella stessa Roma a spargervi l'eresia gnostica, un miscuglio di dottrine e pratiche religiose a carattere filosofico e mistagogico rette da questo principio fondamentale: c'è una fede comune che può bastare al volgo, ma vi è anche una scienza riservata ai dotti, che offre una spiegazione filosofica della fede comune. 1 due eretici vennero sconfessati da papa Igino che il Liber Pontificalis definisce "filosofo", di origine ateniese. Un filosofo, dunque, al timone della barca di Pietro nel momento giusto, quando la serpeggiante eresia gnostica tendeva ad assorbire la Rivelazione divina per farne solo una filosofia religiosa.
Igino si adoperò così per la preservazione dell'integrità del genuino insegnamento evangelico. Egli inoltre, anche sull'esempio del grande imperatore Adriano, che aveva creato un efficiente apparato burocratico che assicurava una saggia amministrazione dell'immenso impero romano, intervenne sulla struttura gerarchica, istituendo gli Ordini minori, che consentivano di migliorare il servizio della Chiesa e di preparare i candidati al sacerdozio mediante un avvicinamento progressivo ai santi misteri. A lui sembra risalire anche l'istituzione del padrinato per il battesimo.
Pio I, Si narra che sia nato ad Aquileia e che fosse il figlio di un certo Rufino; la tradizione vuole che soffrì il martirio ma, anche se viene celebrato come martire nel breviario, non sembra che ci siano altre prove per questa affermazione. Le poche lettere a lui attribuite sono spurie.
Anche per s. Pio I, come per quasi tutti i pontefici dei primi secoli della Chiesa, le notizie pervenutaci, oltre che poche sono anche incerte; non si sa praticamente nulla, salvo quanto narrato dalle tradizioni.
Il “Liber Pontificalis” riporta che nacque ad Aquileia, figlio di un certo Rufino; Eusebio nella sua ‘Storia Ecclesiastica’ considera verosimilmente la durata del suo pontificato in quindici anni, dal 140 al 155; dal “frammento Muratoriano” sappiamo che era fratello di Erma, l’autore del ‘Pastore’.
Gli si attribuisce la data della celebrazione della Pasqua nella domenica dopo il plenilunio di marzo; sono importanti le sue norme per la conversione dei giudei.
Combatté lo gnostico Marcione (85-160) filosofo eretico, che contrapponeva al Dio imperfetto e ingiusto del Vecchio Testamento, il Dio buono che aveva assunto un’apparente forma umana in Cristo.
San Pio I non ebbe culto nell’antichità e perciò il suo nome manca negli antichi Martirologi, finché Adone lo inserì per primo nel suo ‘Martirologio’ all’11 luglio come ‘confessore’, mentre il ‘Martirologio Romano’ confermando la data dell’11 luglio, lo considera ‘martire’; come del resto lo furono quasi tutti i primi 31 pontefici, che governarono la Chiesa nel triste periodo delle persecuzioni, fino all’avvento di Costantino imperatore.
Il nome Pio è un nome già in uso in età imperiale, poi divenuto fondamentalmente cristiano, con chiaro riferimento alla pietà cristiana e alla devozione a Dio.
E’ appartenuto a ben 12 papi; diffuso nel Nord e Centro Italia soprattutto nel femminile Pia; è il nome del recente santo cappuccino padre Pio da Pietrelcina; Dante nel ‘Purgatorio’ rievoca la tragica vicenda di Pia de’ Tolomei, fatta uccidere dal marito.
Anche per s. Pio I, come per quasi tutti i pontefici dei primi secoli della Chiesa, le notizie pervenutaci, oltre che poche sono anche incerte; non si sa praticamente nulla, salvo quanto narrato dalle tradizioni.
Il “Liber Pontificalis” riporta che nacque ad Aquileia, figlio di un certo Rufino; Eusebio nella sua ‘Storia Ecclesiastica’ considera verosimilmente la durata del suo pontificato in quindici anni, dal 140 al 155; dal “frammento Muratoriano” sappiamo che era fratello di Erma, l’autore del ‘Pastore’.
Gli si attribuisce la data della celebrazione della Pasqua nella domenica dopo il plenilunio di marzo; sono importanti le sue norme per la conversione dei giudei.
Combatté lo gnostico Marcione (85-160) filosofo eretico, che contrapponeva al Dio imperfetto e ingiusto del Vecchio Testamento, il Dio buono che aveva assunto un’apparente forma umana in Cristo.
San Pio I non ebbe culto nell’antichità e perciò il suo nome manca negli antichi Martirologi, finché Adone lo inserì per primo nel suo ‘Martirologio’ all’11 luglio come ‘confessore’, mentre il ‘Martirologio Romano’ confermando la data dell’11 luglio, lo considera ‘martire’; come del resto lo furono quasi tutti i primi 31 pontefici, che governarono la Chiesa nel triste periodo delle persecuzioni, fino all’avvento di Costantino imperatore.
Il nome Pio è un nome già in uso in età imperiale, poi divenuto fondamentalmente cristiano, con chiaro riferimento alla pietà cristiana e alla devozione a Dio.
E’ appartenuto a ben 12 papi; diffuso nel Nord e Centro Italia soprattutto nel femminile Pia; è il nome del recente santo cappuccino padre Pio da Pietrelcina; Dante nel ‘Purgatorio’ rievoca la tragica vicenda di Pia de’ Tolomei, fatta uccidere dal marito.
Aniceto Proveniva da Emesa in Siria. Fu durante il suo pontificato che San Policarpo, un discepolo di San Giovanni il Divino, visitò la Chiesa Romana. Policarpo ed Aniceto discussero sulla data in cui celebrare la Pasqua. Policarpo e la sua chiesa di Smyrna celebravano la Pasqua nel quattordicesimo giorno di Nisan, che era il giorno di Pesach, mentre la Chiesa Romana usava celebrare la Pasqua di domenica, in quanto questo era il giorno della resurrezione di Gesù, e la resurrezione di Gesù in una domenica è il motivo per cui tale giorno è santo per la cristianità.
Policarpo ed Aniceto non si accordarono su una data comune, ma Aniceto permise a Policarpo di mantenere la data a cui era abituato. La controversia si sarebbe riscaldata nei secoli seguenti. Anche lo storico cristiano Egesippo visitò Roma durante il pontificato di Aniceto. La visita viene spesso citata come un segno dell'importanza della Sede Romana già dagli albori del cristianesimo. Aniceto fu il primo Papa a condannare l'eresia proibendo il Montanismo. Egli inoltre si oppose attivamente allo Gnosticismo e al Marcionismo. Secondo il Liber Pontificalis, Aniceto decretò che ai sacerdoti non fosse permesso portare i capelli lunghi (forse perché così li portavano gli gnostici). Si dice che Aniceto abbia sofferto il martirio, ma la data varia tra il 16, il 17 e il 20 aprile, e nessun dettaglio è conosciuto sul tipo di martirio. Viene commemorato il 17 aprile.
Sulla Pasqua i cristiani non hanno mai trovato un accordo duraturo in modo da festeggiarla tutti nello stesso giorno. Un dissenso sempiterno. Già papa Pio I (140-145) tenta di risolverlo, fissando per tutti la prima domenica dopo il plenilunio di primavera. Ma i cristiani d’Oriente hanno invece una data fissa: il 14 del mese lunare di Nisan,in cui ha inizio la Pasqua degli Ebrei. Succedendo a Pio I nel 155, papa Aniceto tenta la strada della concertazione, incontrando a Roma il vescovo orientale Policarpo di Smirne. I due discutono a lungo, non trovano un accordo, ma si separano in comunione e in pace: Aniceto, anzi, riserva al vescovo d’Asia (e futuro martire) onori e attenzioni speciali. Così l’unità è salva: non ci sarà alcuno scisma sulla questione della Pasqua.
Aniceto viene probabilmente dalla Siria e, succedendo a Pio I, trova tra i suoi una confusione drammatica. Dall’Oriente è arrivato il teologo Marcione, accolto nella comunità romana e stimato per la sua generosità e il suo rigore morale: poi si mette a divulgare una sua dottrina basata su un Dio Padre di Gesù Cristo, distinto dal Dio dell’Antico Testamento; insomma, due dèi, uno Salvatore e l’altro Giudice. Marcione trova seguaci; fonda una sua Chiesa, nominando vescovi e preti. E crea una confusione enorme in Roma, con relativi disordini. Secondo Policarpo, quest’uomo è "primogenito di Satana".
Per il vescovo Aniceto, la dottrina si combatte con la dottrina, studiando di più per orientare i fedeli; e ugualmente si combatte con l’esempio. Perciò nomina un buon numero di nuovi preti e diaconi, e da ciascuno pretende di più, a cominciare dalla moralità, che dev’essere autentica e anche visibile. Sicché, ad esempio: niente più ecclesiastici in giro con chiome fluenti: capelli corti per tutti. Aniceto vive momenti di dura persecuzione sotto Marco Aurelio, in contrasto col pensiero di questo imperatore e con l’ispirazione umanitaria di molte sue leggi. Ma lui vede in ogni scontro sulla dottrina un disordine nefasto per l’Impero, che già lotta in Oriente contro i Parti, in Europa contro i Germani; ma che ha difficoltà anche contro governatori romani infedeli e ribelli, come nel caso della Siria.
Per il vescovo di Roma, l’angoscia quotidiana di undici anni è questa Chiesa da salvare, nelle vite dei fedeli e nella certezza della dottrina; da stimolare con energia, ma anche con discernimento tra l’essenziale e il secondario. Aniceto muore durante la persecuzione (che a Roma fa vittime come san Giustino e santa Felicita); ma probabilmente non a causa della persecuzione. Infatti non è indicato come martire. Il suo corpo (ed è la prima volta per un vescovo di Roma) viene seppellito nelle cave di pozzolana che si trasformeranno in seguito nelle catacombe di san Callisto.
Policarpo ed Aniceto non si accordarono su una data comune, ma Aniceto permise a Policarpo di mantenere la data a cui era abituato. La controversia si sarebbe riscaldata nei secoli seguenti. Anche lo storico cristiano Egesippo visitò Roma durante il pontificato di Aniceto. La visita viene spesso citata come un segno dell'importanza della Sede Romana già dagli albori del cristianesimo. Aniceto fu il primo Papa a condannare l'eresia proibendo il Montanismo. Egli inoltre si oppose attivamente allo Gnosticismo e al Marcionismo. Secondo il Liber Pontificalis, Aniceto decretò che ai sacerdoti non fosse permesso portare i capelli lunghi (forse perché così li portavano gli gnostici). Si dice che Aniceto abbia sofferto il martirio, ma la data varia tra il 16, il 17 e il 20 aprile, e nessun dettaglio è conosciuto sul tipo di martirio. Viene commemorato il 17 aprile.
Sulla Pasqua i cristiani non hanno mai trovato un accordo duraturo in modo da festeggiarla tutti nello stesso giorno. Un dissenso sempiterno. Già papa Pio I (140-145) tenta di risolverlo, fissando per tutti la prima domenica dopo il plenilunio di primavera. Ma i cristiani d’Oriente hanno invece una data fissa: il 14 del mese lunare di Nisan,in cui ha inizio la Pasqua degli Ebrei. Succedendo a Pio I nel 155, papa Aniceto tenta la strada della concertazione, incontrando a Roma il vescovo orientale Policarpo di Smirne. I due discutono a lungo, non trovano un accordo, ma si separano in comunione e in pace: Aniceto, anzi, riserva al vescovo d’Asia (e futuro martire) onori e attenzioni speciali. Così l’unità è salva: non ci sarà alcuno scisma sulla questione della Pasqua.
Aniceto viene probabilmente dalla Siria e, succedendo a Pio I, trova tra i suoi una confusione drammatica. Dall’Oriente è arrivato il teologo Marcione, accolto nella comunità romana e stimato per la sua generosità e il suo rigore morale: poi si mette a divulgare una sua dottrina basata su un Dio Padre di Gesù Cristo, distinto dal Dio dell’Antico Testamento; insomma, due dèi, uno Salvatore e l’altro Giudice. Marcione trova seguaci; fonda una sua Chiesa, nominando vescovi e preti. E crea una confusione enorme in Roma, con relativi disordini. Secondo Policarpo, quest’uomo è "primogenito di Satana".
Per il vescovo Aniceto, la dottrina si combatte con la dottrina, studiando di più per orientare i fedeli; e ugualmente si combatte con l’esempio. Perciò nomina un buon numero di nuovi preti e diaconi, e da ciascuno pretende di più, a cominciare dalla moralità, che dev’essere autentica e anche visibile. Sicché, ad esempio: niente più ecclesiastici in giro con chiome fluenti: capelli corti per tutti. Aniceto vive momenti di dura persecuzione sotto Marco Aurelio, in contrasto col pensiero di questo imperatore e con l’ispirazione umanitaria di molte sue leggi. Ma lui vede in ogni scontro sulla dottrina un disordine nefasto per l’Impero, che già lotta in Oriente contro i Parti, in Europa contro i Germani; ma che ha difficoltà anche contro governatori romani infedeli e ribelli, come nel caso della Siria.
Per il vescovo di Roma, l’angoscia quotidiana di undici anni è questa Chiesa da salvare, nelle vite dei fedeli e nella certezza della dottrina; da stimolare con energia, ma anche con discernimento tra l’essenziale e il secondario. Aniceto muore durante la persecuzione (che a Roma fa vittime come san Giustino e santa Felicita); ma probabilmente non a causa della persecuzione. Infatti non è indicato come martire. Il suo corpo (ed è la prima volta per un vescovo di Roma) viene seppellito nelle cave di pozzolana che si trasformeranno in seguito nelle catacombe di san Callisto.
Papa Sotero, noto anche come il "Papa della carità", dichiaro che il matrimonio era valido solo come sacramento benedetto da un sacerdote. Sotero nacque a Fondi e morì, così dice la storia, come martire. Venne sepolto nel cimitero di Callisto a Roma. Viene celebrato il 22 aprile. Il nome Sotero deriva dal greco e significa "Salvatore".
Proclamato santo in qualche epoca, ora il suo nome non compare più nel Calendario Universale. Nato a Fondi, in Campania ma attualmente in provincia di Latina, da famiglia di origine greca, fu sempre molto attento nel mantenere stretti rapporti con i cristiani residenti al di là del mare Adriatico (nda : già considerata Chiesa Cristiana d'Oriente), anche attraverso opere caritatevoli. Non è escluso che già all'epoca si fosse presentata la possibilità di una opinione diversa circa l'interpretazione del pensiero teologico di Cristo, ovvero l'embrione di uno scisma.... che purtroppo accadrà successivamente.
Sotero, cercò comunque di mantenere unita la comunione della fede cristiana, nonostante il tallone di un imperatore come Marco Aurelio. Sotto il suo pontificato emersero idee eretiche "montaniste" (nda: eresia frigia, di radice gallica che ricondussero il pensiero al suo precursore - Montano, di origine ebraica ... e quindi alla nuova Gerusalemme che discesa dal cielo si sarebbe dovuta insediare ad oriente di "filadelfia" ... - palestina - . Prime predicatrici di questo pensiero furono Masimilla e Priscilla/Prisca).
Il pontefice costituì per contro un ordine diaconale femminile, anche per rispettare riti greci di più antica memoria e con essi salvaguardare il pensiero cristiano. Le sue spoglie sembra siano state dapprima sepolte accanto alle spoglie di Pietro, poi trasportate nelle catacombe di San Callisto, sotto il papato di Sergio II traslate nella chiesa di San Silvestro a Roma. Successivamente da San Silvestro alla chiesa di San Sisto e poi in parte disperse fino a finire a Toledo.
Proclamato santo in qualche epoca, ora il suo nome non compare più nel Calendario Universale. Nato a Fondi, in Campania ma attualmente in provincia di Latina, da famiglia di origine greca, fu sempre molto attento nel mantenere stretti rapporti con i cristiani residenti al di là del mare Adriatico (nda : già considerata Chiesa Cristiana d'Oriente), anche attraverso opere caritatevoli. Non è escluso che già all'epoca si fosse presentata la possibilità di una opinione diversa circa l'interpretazione del pensiero teologico di Cristo, ovvero l'embrione di uno scisma.... che purtroppo accadrà successivamente.
Sotero, cercò comunque di mantenere unita la comunione della fede cristiana, nonostante il tallone di un imperatore come Marco Aurelio. Sotto il suo pontificato emersero idee eretiche "montaniste" (nda: eresia frigia, di radice gallica che ricondussero il pensiero al suo precursore - Montano, di origine ebraica ... e quindi alla nuova Gerusalemme che discesa dal cielo si sarebbe dovuta insediare ad oriente di "filadelfia" ... - palestina - . Prime predicatrici di questo pensiero furono Masimilla e Priscilla/Prisca).
Il pontefice costituì per contro un ordine diaconale femminile, anche per rispettare riti greci di più antica memoria e con essi salvaguardare il pensiero cristiano. Le sue spoglie sembra siano state dapprima sepolte accanto alle spoglie di Pietro, poi trasportate nelle catacombe di San Callisto, sotto il papato di Sergio II traslate nella chiesa di San Silvestro a Roma. Successivamente da San Silvestro alla chiesa di San Sisto e poi in parte disperse fino a finire a Toledo.
Eleuterio, Papa, all'incirca dal 175 al 189. Il suo nome in greco significa uomo libero, qualcuno dice che si riferisce al fatto che si trattasse di uno schiavo liberato, ma la tradizione ci riferisce soltanto che era un diacono della chiesa di Roma. Sant'Ireneo di Lione verso il 177 accompagna alcuni vescovi di Lione a Roma per discutere con Eleuterio, riguardo al montanismo, successivamente anche il vescovo Abercius di Hierapolis in Frigia si reca a Roma per discutere dello stesso problema. A lui si allude nelle lettere dei martiri di Lione, citate da Eusebio, e in altri documenti dell'epoca.
Il Liber Pontificalis, all'inizio del VI secolo, dice che tenne una corrispondenza con un Re britannico, Lucio, che era desideroso di essere convertito alla Cristianità. Beda copiò questo racconto nella sua Storia Ecclesiastica, che lo rese popolare. Questa tradizione - romana, non britannica - non sembra avere fondamento storico.
S. Eleuterio, di Nicopoli (Epiro), martire (?), fu probabilmente sepolto in Vaticano, vicino al corpo di S.Pietro. Menzionata unicamente da fonti agiografiche tarde (sec. VIII), la sua incerta biografia si basa principalmente sul Liber Pontificalis. Il suo episcopato fu segnato da movimenti ereticali che giunsero fino a Roma: il montanismo che sosteneva l’imminente fine del mondo, l’esagerato rigore di condotta morale e la prerogativa di profetizzazione. Eleuterio fu tollerante per evitare una dolorosa scissione fra i cristiani. Invece contro i marcioniti, che ammettevano tre principi (buono, giusto e cattivo) e tre battesimi, e gli gnostici, seguaci di Pitagora e Platone, emanò un decreto nel quale, tra l’altro, si autorizzavano i cristiani a cibarsi con qualsiasi alimento e superare così ogni eretica distinzione tra cibi puri ed impuri.
Con un altro suo decreto, si reputa, ordinò che il giorno di Pasqua si celebrasse di domenica. Secondo il Liber Pontificalis, che non accenna minimamente al suo martirio, fu in rapporto con Lucio, re dei Britanni. La sua festa si celebra il 26 maggio ed è così menzionato nel Martirologio Romano: A Roma sant’Eleuterio, papa e martire, il quale convertì alla fede di Cristo molti nobili romani, e mandò nella Gran Bretagna Damiano e Fugazio, i quali battezzarono il Re Lucio, insieme a sua moglie e a quasi tutto il popolo. Nell’arte S.Eleuterio viene raffigurato o con gli abiti pontificali e un libro nella mano sinistra o con abiti pontificali e una grande tonsura.
Il Liber Pontificalis, all'inizio del VI secolo, dice che tenne una corrispondenza con un Re britannico, Lucio, che era desideroso di essere convertito alla Cristianità. Beda copiò questo racconto nella sua Storia Ecclesiastica, che lo rese popolare. Questa tradizione - romana, non britannica - non sembra avere fondamento storico.
S. Eleuterio, di Nicopoli (Epiro), martire (?), fu probabilmente sepolto in Vaticano, vicino al corpo di S.Pietro. Menzionata unicamente da fonti agiografiche tarde (sec. VIII), la sua incerta biografia si basa principalmente sul Liber Pontificalis. Il suo episcopato fu segnato da movimenti ereticali che giunsero fino a Roma: il montanismo che sosteneva l’imminente fine del mondo, l’esagerato rigore di condotta morale e la prerogativa di profetizzazione. Eleuterio fu tollerante per evitare una dolorosa scissione fra i cristiani. Invece contro i marcioniti, che ammettevano tre principi (buono, giusto e cattivo) e tre battesimi, e gli gnostici, seguaci di Pitagora e Platone, emanò un decreto nel quale, tra l’altro, si autorizzavano i cristiani a cibarsi con qualsiasi alimento e superare così ogni eretica distinzione tra cibi puri ed impuri.
Con un altro suo decreto, si reputa, ordinò che il giorno di Pasqua si celebrasse di domenica. Secondo il Liber Pontificalis, che non accenna minimamente al suo martirio, fu in rapporto con Lucio, re dei Britanni. La sua festa si celebra il 26 maggio ed è così menzionato nel Martirologio Romano: A Roma sant’Eleuterio, papa e martire, il quale convertì alla fede di Cristo molti nobili romani, e mandò nella Gran Bretagna Damiano e Fugazio, i quali battezzarono il Re Lucio, insieme a sua moglie e a quasi tutto il popolo. Nell’arte S.Eleuterio viene raffigurato o con gli abiti pontificali e un libro nella mano sinistra o con abiti pontificali e una grande tonsura.
Vittore I, talvolta erroneamente chiamato Papa Vittorio I, fu Papa dal 189 al 199. Nacque in Africa, e successivamente giunse a Roma. Più tardi venne canonizzato. Il suo nome è associato principalmente ad una manifestazione di intolleranza verso i vescovi dell'Asia Minore, per la posizione che assunsero nella controversia quartodecimana sul giorno di celebrazione della Pasqua, da lui fissato alla domenica. Egli inoltre scomunicò Teodato di Bisanzio per il suo credo su Cristo, l'adozionismo. Fino a quell'epoca il linguaggio delle Messe celebrate a Roma era il greco. Vittore, la cui lingua madre era il latino, cambiò la norma in modo da celebrare in latino, come era stato fatto in Africa settentrionale.
S. Vittore I è il 14° papa, eletto nel 189 morì nel 199 molto probabilmente subendo il martirio, quindi il suo pontificato durò 10 anni, un lungo periodo se consideriamo che a quei tempi imperversavano le persecuzioni ricorrenti dei vari imperatori, che cessarono solo nel 313-14; quasi tutti i papi dei primi 300 anni della Chiesa sono martiri.
Ebbe la sorte di pontificare i primi cinque anni sotto l’imperatore Commodo (m. nel 194) il quale grazie agli auspici della sua favorita Marcia, simpatizzante per il Cristianesimo, non solo non rinnovò la persecuzione, ma fece per i cristiani quello che finora nessun imperatore aveva fatto; con l’aiuto di Marcia, il papa Vittore ebbe un incontro con lui, nel quale gli consegnò la lista dei cristiani condannati alla deportazione per i lavori forzati nelle miniere della Sardegna e Commodo ne ordinò la liberazione.
Era l’anno 190 ed era la prima volta che l’Impero trattava direttamente con la Chiesa e il vescovo di Roma.
Questo episodio è importante anche per capire la perfetta organizzazione della carità cristiana in Roma, la quale provvedeva non solo ai membri bisognosi della comunità, ma si estendeva anche ai fratelli perseguitati, sofferenti nelle carceri o condannati ai lavori forzati nelle miniere; di tutti si teneva un elenco aggiornato. A guardare oggi questi avvenimenti ci sembra quasi impossibile che in quei tempi, dove per il solo fatto di essere oppure solo indicati come cristiani, si moriva con estrema facilità e con tormenti indicibili e incomprensibili in un impero così vasto e faro di civiltà e diritto, proprio la Chiesa primitiva nel suo vivere nascosto e continuamente in pericolo, avesse un’organizzazione da far invidia sia nel campo assistenziale che in quello spirituale e dottrinario.
In campo liturgico, la controversia in cui si venne a trovare papa Vittore I, fu quella della celebrazione della Pasqua.
Le Chiese dell’Asia del periodo preconsolare e quelle di origine ebraica, la celebravano il 14 del mese di ‘nisan’ (aprile), da qui il loro nome di Quartodecimani e dall’altra parte le Chiese Occidentali compresa quella di Roma, la celebravano la Domenica come il giorno nel quale Gesù era risorto. Questa controversia vide impegnati nei due schieramenti grandi personaggi della Fede cristiana, come s. Policarpo di Smirne, s. Ireneo, papa Aniceto, Papirio, Melitone, ecc. Il papa Vittore I indisse i Sinodi presso le varie Chiese per poter avere risposta specifica sull’argomento, se favorevoli o no alla celebrazione domenicale. Ancora una volta le Chiese asiatiche rimasero sulle loro posizioni e il papa allora agì di autorità, dopo aver imposto la celebrazione romana a tutta la Chiesa Universale, comminò la scomunica a tutti i dissenzienti, ma poi non l’applicò, visto le mediazioni di autorevoli vescovi non asiatici, tese ad evitare un grave scisma.
Comunque durante il III sec., la scelta di Roma fu poi pacificamente accettata. Questo altro episodio ci presenta il papa Vittore I come il primo vero “papa”, il quale afferma la supremazia della Chiesa di Roma sulle altre, lo si vede nell’imporre la celebrazione dei Sinodi nelle varie Chiese e la loro ubbidienza; anche l’atto di imporre pena la scomunica, la celebrazione della Pasqua in un’unica data universale, lascia intravedere i primi segni di quello che sarà nei secoli futuri il primato di Pietro e quindi di Roma. Altre eresie che si affacciavano durante il suo pontificato, furono combattute con vigore, come l’adozionismo che presentava Gesù come puro uomo adottato da Dio come figlio ed elevato così al rango divino.
Papa Vittore I presenta un’altra caratteristica, egli era un africano ed insieme a s. Melchiade, (papa 100 anni dopo) furono gli unici papi di questo Continente, a riprova di quanto fossero importante nell’epoca romana il Nord Africa e le zone vicine all’Asia Minore. Non si conosce bene come morì, ma visto che i suoi secondi cinque anni di pontificato corrispondono alla ripresa delle persecuzioni con il nuovo imperatore Settimio Severo, quasi certamente fu martirizzato come i suoi predecessori. Sepolto presso s. Pietro, lo si ricorda il 28 luglio.
S. Vittore I è il 14° papa, eletto nel 189 morì nel 199 molto probabilmente subendo il martirio, quindi il suo pontificato durò 10 anni, un lungo periodo se consideriamo che a quei tempi imperversavano le persecuzioni ricorrenti dei vari imperatori, che cessarono solo nel 313-14; quasi tutti i papi dei primi 300 anni della Chiesa sono martiri.
Ebbe la sorte di pontificare i primi cinque anni sotto l’imperatore Commodo (m. nel 194) il quale grazie agli auspici della sua favorita Marcia, simpatizzante per il Cristianesimo, non solo non rinnovò la persecuzione, ma fece per i cristiani quello che finora nessun imperatore aveva fatto; con l’aiuto di Marcia, il papa Vittore ebbe un incontro con lui, nel quale gli consegnò la lista dei cristiani condannati alla deportazione per i lavori forzati nelle miniere della Sardegna e Commodo ne ordinò la liberazione.
Era l’anno 190 ed era la prima volta che l’Impero trattava direttamente con la Chiesa e il vescovo di Roma.
Questo episodio è importante anche per capire la perfetta organizzazione della carità cristiana in Roma, la quale provvedeva non solo ai membri bisognosi della comunità, ma si estendeva anche ai fratelli perseguitati, sofferenti nelle carceri o condannati ai lavori forzati nelle miniere; di tutti si teneva un elenco aggiornato. A guardare oggi questi avvenimenti ci sembra quasi impossibile che in quei tempi, dove per il solo fatto di essere oppure solo indicati come cristiani, si moriva con estrema facilità e con tormenti indicibili e incomprensibili in un impero così vasto e faro di civiltà e diritto, proprio la Chiesa primitiva nel suo vivere nascosto e continuamente in pericolo, avesse un’organizzazione da far invidia sia nel campo assistenziale che in quello spirituale e dottrinario.
In campo liturgico, la controversia in cui si venne a trovare papa Vittore I, fu quella della celebrazione della Pasqua.
Le Chiese dell’Asia del periodo preconsolare e quelle di origine ebraica, la celebravano il 14 del mese di ‘nisan’ (aprile), da qui il loro nome di Quartodecimani e dall’altra parte le Chiese Occidentali compresa quella di Roma, la celebravano la Domenica come il giorno nel quale Gesù era risorto. Questa controversia vide impegnati nei due schieramenti grandi personaggi della Fede cristiana, come s. Policarpo di Smirne, s. Ireneo, papa Aniceto, Papirio, Melitone, ecc. Il papa Vittore I indisse i Sinodi presso le varie Chiese per poter avere risposta specifica sull’argomento, se favorevoli o no alla celebrazione domenicale. Ancora una volta le Chiese asiatiche rimasero sulle loro posizioni e il papa allora agì di autorità, dopo aver imposto la celebrazione romana a tutta la Chiesa Universale, comminò la scomunica a tutti i dissenzienti, ma poi non l’applicò, visto le mediazioni di autorevoli vescovi non asiatici, tese ad evitare un grave scisma.
Comunque durante il III sec., la scelta di Roma fu poi pacificamente accettata. Questo altro episodio ci presenta il papa Vittore I come il primo vero “papa”, il quale afferma la supremazia della Chiesa di Roma sulle altre, lo si vede nell’imporre la celebrazione dei Sinodi nelle varie Chiese e la loro ubbidienza; anche l’atto di imporre pena la scomunica, la celebrazione della Pasqua in un’unica data universale, lascia intravedere i primi segni di quello che sarà nei secoli futuri il primato di Pietro e quindi di Roma. Altre eresie che si affacciavano durante il suo pontificato, furono combattute con vigore, come l’adozionismo che presentava Gesù come puro uomo adottato da Dio come figlio ed elevato così al rango divino.
Papa Vittore I presenta un’altra caratteristica, egli era un africano ed insieme a s. Melchiade, (papa 100 anni dopo) furono gli unici papi di questo Continente, a riprova di quanto fossero importante nell’epoca romana il Nord Africa e le zone vicine all’Asia Minore. Non si conosce bene come morì, ma visto che i suoi secondi cinque anni di pontificato corrispondono alla ripresa delle persecuzioni con il nuovo imperatore Settimio Severo, quasi certamente fu martirizzato come i suoi predecessori. Sepolto presso s. Pietro, lo si ricorda il 28 luglio.
San Zefferino, Papa, vescovo di Roma dal 198 circa al 217, successe a Papa Vittore I. Viene descritto come un uomo di scarsa intelligenza, forza o carattere, e le controversie in qualche modo importanti, sulla dottrina e la disciplina, che marcarono il suo pontificato, sono più appropriatamente associate con i nomi di Ippolito e di Callisto, il suo principale consigliere e in seguito successore. Zefferino morì il 20 dicembre 217.
Nativo di Roma, in qualche annuale appare sotto il nome di Geferino. Il suo papato iniziò sotto il terrore di Settimio Severo, il quale convinto assertore della religione politeistica, oltre che per pratici motivi attinenti il dominio delle province romane, aveva sposato Giulia Domna, di un antico casato sacerdotale dell'antica città siriana di Emesa dove veniva praticato il culto al "dio sole". La scintilla che innescò nuove crudeli repressioni fu la mancata partecipazione dei cristiani ai festeggiamenti del decennale dell'imperatore pro salute impetorum, perchè marcatamente pagani.Oltre a ciò dovette continuare a combattere ulteriori eresie, contrastato da Ippolito sul metodo di lotta e che sfocerà successivamente nel primo scisma cristiano, quello di Ippolito.
Sant' Ippolito fu teologo e scrittore di cultura greca, divenne esponente della teologia del logos. Avversario di Zefirino e di quello che diventerà papa e santo Callisto. Fu probabilmente in contatto con la dinastia dei Severi ma dagli stessi abbandonato e deportato in Sardegna, da Massimo il Trace, dove trovò il martirio. Nonostante tutto però, Zefirino riuscì ad organizzare ancora di più la gerarchia ecclesiastica nominando per la prima volta un suo vicario (Callisto) con compiti più pratici che teologici. A lui si deve la volontà di organizzare i cimiteri cristiani che furono spostati dalla via Salaria alla via Appia, dove già esistevano quelli di Pretestato e Domitilla. Uno dei cimiteri fu chiamato "la cripta dei papi" dove il primo ad esservi tumulato fu proprio Zefirino.
Nativo di Roma, in qualche annuale appare sotto il nome di Geferino. Il suo papato iniziò sotto il terrore di Settimio Severo, il quale convinto assertore della religione politeistica, oltre che per pratici motivi attinenti il dominio delle province romane, aveva sposato Giulia Domna, di un antico casato sacerdotale dell'antica città siriana di Emesa dove veniva praticato il culto al "dio sole". La scintilla che innescò nuove crudeli repressioni fu la mancata partecipazione dei cristiani ai festeggiamenti del decennale dell'imperatore pro salute impetorum, perchè marcatamente pagani.Oltre a ciò dovette continuare a combattere ulteriori eresie, contrastato da Ippolito sul metodo di lotta e che sfocerà successivamente nel primo scisma cristiano, quello di Ippolito.
Sant' Ippolito fu teologo e scrittore di cultura greca, divenne esponente della teologia del logos. Avversario di Zefirino e di quello che diventerà papa e santo Callisto. Fu probabilmente in contatto con la dinastia dei Severi ma dagli stessi abbandonato e deportato in Sardegna, da Massimo il Trace, dove trovò il martirio. Nonostante tutto però, Zefirino riuscì ad organizzare ancora di più la gerarchia ecclesiastica nominando per la prima volta un suo vicario (Callisto) con compiti più pratici che teologici. A lui si deve la volontà di organizzare i cimiteri cristiani che furono spostati dalla via Salaria alla via Appia, dove già esistevano quelli di Pretestato e Domitilla. Uno dei cimiteri fu chiamato "la cripta dei papi" dove il primo ad esservi tumulato fu proprio Zefirino.
Poco si sa di Callisto I, Papa all'incirca dal 217 al 222, durante il regno degli Imperatori Eliogabalo e Alessandro Severo. Il suo contemporaneo Sant'Ippolito ci dice che quando Callisto, un giovane schiavo cristiano, venne messo a capo di una banca dal suo padrone cristiano Carpoforo, egli perse i soldi depositati da altri cristiani. Scappò da Roma ma venne preso a bordo di una nave al largo di Portus. Per sfuggire alla cattura, saltò in mare, venne salvato e riportato da Carpoforo. Callisto venne rilasciato su richiesta dei creditori, che speravano di riuscire a recuperare parte dei soldi, ma venne nuovamente arrestato per aver lottato in una sinagoga, quando cercò di prendere a prestito dei soldi da alcuni ebrei. Denunciato come cristiano, Callisto venne condannato a lavorare nelle miniere della Sardegna.
Alla fine venne rilasciato con altri cristiani su richiesta di Marcia, amante dell'Imperatore Commodo. La sua salute era così indebolita che i suoi compagni cristiani lo mandarono ad Anzio per ristabilirsi e gli venne data una sovvenzione da Papa Vittore I. Callisto stabilì la pratica dell'assoluzione di tutti i peccati di cui ci si pente. Ippolito venne urtato in particolar modo dalla decisione di ammettere alla comunione quelli che si erano pentiti per assassinio, adulterio o fornicazione.
Un luogo sul quale aveva costruito un oratorio venne reclamato dai gestori di una taverna, ma l'Imperatore decise che l'adorazione di qualsiasi Dio era meglio di una taverna. Questo luogo si dice che sia all'origine di Santa Maria in Trastevere. In effetti la chiesa di San Callisto vi è molto vicina, e contiene un pozzo nel quale la leggenda vuole che il suo corpo venne gettato, e questa è probabilmente la chiesa che fece costruire, piuttosto che la famosa basilica.
È possiblie che Callisto sia stato martirizzato attorno al 222, forse durante una sollevazione popolare, ma la leggenda secondo la quale venne gettato nel pozzo non ha fondamento. Venne seppellito nel cimitero di Calepodio sulla Via Aurelia. Le sue reliquie vennero traslate nel IX secolo a Santa Maria in Trastevere.
Viene onorato come martire a Todi, il 14 agosto. San Callisto viene dipinto nell'arte con addosso una veste rossa e una tiara (simbolo del Papa); o mentre viene gettato in un pozzo con una pietra miliare al collo; spesso vicino a lui c'è una fontana.
A Roma sono famose le Catacombe di San Callisto, lungo la via Appia. Tra i molti cimiteri sotterranei dell'Urbe, quelle di San Callisto sono le Catacombe più note e più frequentate, celebri soprattutto per la cosiddetta " Cripta dei Papi ". Ma tra i moltissimi Martiri e i Pontefici deposti ivi questo sepolcreto, inutilmente si cercherebbe il corpo del Santo dal quale le Catacombe lungo la via Appia hanno preso il nome, e che è segnato oggi sul Calendario universale della Chiesa, onorato come " Martire ". La sorte di questo Santo, Pontefice agli inizi del III secolo, è stata veramente strana. Egli ebbe, ai suoi tempi, molti avversari tra i cristiani dissidenti di Roma, e proprio da uno scritto del capo di questi cristiani separati, cioè di un Antipapa, abbiamo quasi tutte le notizie sul conto di San Callisto. Sono, naturalmente, notizie che tendono a farlo apparire riprovevole e quasi odioso.
San Callisto viene detto, per esempio, " uomo industrioso per il male e pieno di risorse per l'errore ". Vi si legge che, prima di diventare Papa, era stato schiavo, frodatore di un padrone troppo ingenuo, finanziere improvvisato e bancarottiere più o meno fraudolento. Fuggito in Portogallo, venne arrestato e ricondotto a Roma, dove subì una condanna ai lavori forzati, nelle miniere della Sardegna. Tornato a Roma in occasione di un'amnistia, venne inviato ad Anzio perché - sempre secondo il racconto tendenzioso del suo avversario - il Papa non volle averlo d'intorno. Ma la lunga permanenza ad Anzio dovette riscattare l'antico schiavo dai suoi difetti, se mai ne ebbe, perché un altro Papa, Zeffirino, lo richiamò a Roma, affidando alla sua intraprendenza la cura dei cimiteri della Chiesa. Fu allora che Callisto iniziò lo scavo dei grande sepolcreto lungo la via Appia che doveva portare il suo nome. Alla morte di Zeffirino, Callisto passò dalla cura dei morti a quella dei vivi, essendo eletto Papa egli stesso. E fu proprio allora, come Papa, che il reduce dalle miniere della Sardegna e dall'" esilio " di Anzio, si attirò le recriminazioni di certi cristiani troppo ligi alla tradizione, troppo rigidi nella morale, troppo retrivi alle novità.
Fu accusato di eresia, nella formulazione del mistero della Trinità, che invece Callisto sosteneva secondo la tradizione ortodossa, confermata poi dai concili. Venne incolpato, inoltre, di scarso zelo mentre, in tempi di rilassatezza, istituì il digiuno delle Quattro Tempora. Gli fu rimproverato soprattutto il " lassismo ", cioè la scarsa severità disciplinare. Accoglieva infatti nella Chiesa i peccatori pentiti e . cristiani che debolmente avevano difeso la loro fede in tempo di pericolo. Ma qualsiasi ombra gravasse sulla vita di San Callisto, venne riscattata alla sua morte, che fu morte di Martire, nel 222. Gettato in un pozzo di Trastevere, forse in una sommossa popolare, il suo corpo venne deposto di là dal fiume, lungo la via Aurelia, lontano dalle Catacombe da lui aperte lungo la via Appia, che di San Callisto conservano il nome ma non le reliquie.
Alla fine venne rilasciato con altri cristiani su richiesta di Marcia, amante dell'Imperatore Commodo. La sua salute era così indebolita che i suoi compagni cristiani lo mandarono ad Anzio per ristabilirsi e gli venne data una sovvenzione da Papa Vittore I. Callisto stabilì la pratica dell'assoluzione di tutti i peccati di cui ci si pente. Ippolito venne urtato in particolar modo dalla decisione di ammettere alla comunione quelli che si erano pentiti per assassinio, adulterio o fornicazione.
Un luogo sul quale aveva costruito un oratorio venne reclamato dai gestori di una taverna, ma l'Imperatore decise che l'adorazione di qualsiasi Dio era meglio di una taverna. Questo luogo si dice che sia all'origine di Santa Maria in Trastevere. In effetti la chiesa di San Callisto vi è molto vicina, e contiene un pozzo nel quale la leggenda vuole che il suo corpo venne gettato, e questa è probabilmente la chiesa che fece costruire, piuttosto che la famosa basilica.
È possiblie che Callisto sia stato martirizzato attorno al 222, forse durante una sollevazione popolare, ma la leggenda secondo la quale venne gettato nel pozzo non ha fondamento. Venne seppellito nel cimitero di Calepodio sulla Via Aurelia. Le sue reliquie vennero traslate nel IX secolo a Santa Maria in Trastevere.
Viene onorato come martire a Todi, il 14 agosto. San Callisto viene dipinto nell'arte con addosso una veste rossa e una tiara (simbolo del Papa); o mentre viene gettato in un pozzo con una pietra miliare al collo; spesso vicino a lui c'è una fontana.
A Roma sono famose le Catacombe di San Callisto, lungo la via Appia. Tra i molti cimiteri sotterranei dell'Urbe, quelle di San Callisto sono le Catacombe più note e più frequentate, celebri soprattutto per la cosiddetta " Cripta dei Papi ". Ma tra i moltissimi Martiri e i Pontefici deposti ivi questo sepolcreto, inutilmente si cercherebbe il corpo del Santo dal quale le Catacombe lungo la via Appia hanno preso il nome, e che è segnato oggi sul Calendario universale della Chiesa, onorato come " Martire ". La sorte di questo Santo, Pontefice agli inizi del III secolo, è stata veramente strana. Egli ebbe, ai suoi tempi, molti avversari tra i cristiani dissidenti di Roma, e proprio da uno scritto del capo di questi cristiani separati, cioè di un Antipapa, abbiamo quasi tutte le notizie sul conto di San Callisto. Sono, naturalmente, notizie che tendono a farlo apparire riprovevole e quasi odioso.
San Callisto viene detto, per esempio, " uomo industrioso per il male e pieno di risorse per l'errore ". Vi si legge che, prima di diventare Papa, era stato schiavo, frodatore di un padrone troppo ingenuo, finanziere improvvisato e bancarottiere più o meno fraudolento. Fuggito in Portogallo, venne arrestato e ricondotto a Roma, dove subì una condanna ai lavori forzati, nelle miniere della Sardegna. Tornato a Roma in occasione di un'amnistia, venne inviato ad Anzio perché - sempre secondo il racconto tendenzioso del suo avversario - il Papa non volle averlo d'intorno. Ma la lunga permanenza ad Anzio dovette riscattare l'antico schiavo dai suoi difetti, se mai ne ebbe, perché un altro Papa, Zeffirino, lo richiamò a Roma, affidando alla sua intraprendenza la cura dei cimiteri della Chiesa. Fu allora che Callisto iniziò lo scavo dei grande sepolcreto lungo la via Appia che doveva portare il suo nome. Alla morte di Zeffirino, Callisto passò dalla cura dei morti a quella dei vivi, essendo eletto Papa egli stesso. E fu proprio allora, come Papa, che il reduce dalle miniere della Sardegna e dall'" esilio " di Anzio, si attirò le recriminazioni di certi cristiani troppo ligi alla tradizione, troppo rigidi nella morale, troppo retrivi alle novità.
Fu accusato di eresia, nella formulazione del mistero della Trinità, che invece Callisto sosteneva secondo la tradizione ortodossa, confermata poi dai concili. Venne incolpato, inoltre, di scarso zelo mentre, in tempi di rilassatezza, istituì il digiuno delle Quattro Tempora. Gli fu rimproverato soprattutto il " lassismo ", cioè la scarsa severità disciplinare. Accoglieva infatti nella Chiesa i peccatori pentiti e . cristiani che debolmente avevano difeso la loro fede in tempo di pericolo. Ma qualsiasi ombra gravasse sulla vita di San Callisto, venne riscattata alla sua morte, che fu morte di Martire, nel 222. Gettato in un pozzo di Trastevere, forse in una sommossa popolare, il suo corpo venne deposto di là dal fiume, lungo la via Aurelia, lontano dalle Catacombe da lui aperte lungo la via Appia, che di San Callisto conservano il nome ma non le reliquie.
Sant'Urbano I, Papa dal 222 al 230. Venne preceduto da Callisto I e succeduto da Ponziano. Viene menzionato da Eusebio nella sua Storia ed è nominato in una iscrizione nel Coemeterium Callisti, ma non si sa nulla della sua vita. Il Breviario della Chiesa Cattolica (25 maggio) parla delle sue numerose conversioni, tra cui troviamo Valeriano, marito di Santa Cecilia, e di suo fratello Tiberio, e ci dice che soffrì il martirio e venne sepolto nel Coemetarium Praetextati. Viene festeggiato il 25 maggio.
Romano, papa dal 222 al 230, fu seppellito o nel Cimitero di Callisto o in quello di Pretestato. Secondo il Liber Pontificalis, sarebbe nato a Roma durante l'impero di Diocleziano, mentre la sua elezione sarebbe avvenuta sotto l'impero di Alessandro Severo. Dopo i tumulti anticristiani ai quali non sopravvisse il suo predecessore, il suo pontificato fu relativamente tranquillo.
La famiglia imperiale stessa, attraverso la volontà di Giulia Mamea, madre dell'imperatore, accolse assieme ai riti pagani anche quelli cristiani. Urbano venne particolarmente ricordato per la sua tenacia nel rivendicare le proprietà appartenenti alla chiesa, in particolar modo una causa civile contro un'associazione di ostie quindi il "dio Bacco" a proposito della proprietà di un edificio adibito al culto cristiano. Revocò il decreto di papa Zeferino, che stabiliva l’uso di vasi vitrei nei sacrifizi, prescrivendo che da tutti e dovunque si usassero calici d’argento. Una tarda “Passio” lo vuole martire e legato alla storia di S.Cecilia.
E’ ricordato nel Martirologio Romano il 25 maggio: A Roma, sulla via Nomentana, il natale del beato Urbano primo, Papa e Martire, per la cui esortazione e dottrina molti (fra i quali Tiburzio e Valeriano) abbracciarono la fede di Cristo, e per essa subirono il martirio. Egli pure, nella persecuzione di Alessandro Severo, dopo aver molto sofferto per la Chiesa di Dio, da ultimo con la decapitazione ottenne la corona del martirio. Nell’arte è raffigurato come un pontefice canuto con ampia tonsura e breve barba.
Romano, papa dal 222 al 230, fu seppellito o nel Cimitero di Callisto o in quello di Pretestato. Secondo il Liber Pontificalis, sarebbe nato a Roma durante l'impero di Diocleziano, mentre la sua elezione sarebbe avvenuta sotto l'impero di Alessandro Severo. Dopo i tumulti anticristiani ai quali non sopravvisse il suo predecessore, il suo pontificato fu relativamente tranquillo.
La famiglia imperiale stessa, attraverso la volontà di Giulia Mamea, madre dell'imperatore, accolse assieme ai riti pagani anche quelli cristiani. Urbano venne particolarmente ricordato per la sua tenacia nel rivendicare le proprietà appartenenti alla chiesa, in particolar modo una causa civile contro un'associazione di ostie quindi il "dio Bacco" a proposito della proprietà di un edificio adibito al culto cristiano. Revocò il decreto di papa Zeferino, che stabiliva l’uso di vasi vitrei nei sacrifizi, prescrivendo che da tutti e dovunque si usassero calici d’argento. Una tarda “Passio” lo vuole martire e legato alla storia di S.Cecilia.
E’ ricordato nel Martirologio Romano il 25 maggio: A Roma, sulla via Nomentana, il natale del beato Urbano primo, Papa e Martire, per la cui esortazione e dottrina molti (fra i quali Tiburzio e Valeriano) abbracciarono la fede di Cristo, e per essa subirono il martirio. Egli pure, nella persecuzione di Alessandro Severo, dopo aver molto sofferto per la Chiesa di Dio, da ultimo con la decapitazione ottenne la corona del martirio. Nell’arte è raffigurato come un pontefice canuto con ampia tonsura e breve barba.
Ponziano, fu Papa dal 230 al 235. Durante il suo pontificato lo scisma di Ippolito giunse a conclusione. Ponziano e altri capi della chiesa, tra i quali Ippolito, vennero esiliati dall'Imperatore Massimo Trace in Sardegna. Come conseguenza Ponziano abdicò il 25 settembre 235. Non si sa quanto tempo passò in esilio, ma secondo il Liber Pontificalis morì a causa del trattamento disumano che ricevette nelle miniere sarde. I suoi resti vennero portati a Roma da Papa Fabiano e seppelliti nella Catacomba di Callisto. La sua festa era celebrata il 19 novembre, ma attualmente cade il 13 agosto, come per l'Antipapa Ippolito.
Ponziano, dell'antica e nobile famiglia dei Calpurni, venne eletto papa nel 230, durante l'impero del mite e saggio Alessandro Severo, la cui tolleranza in fatto di religione permise alla Chiesa di riorganizzarsi. Ma proprio in questa parentesi di pace avvenne nella Chiesa di Roma la prima funesta scissione che contrappose al legittimo pontefice un antipapa, nella persona di quell'Ippolito, restituito da un provvidenziale martirio all'unità e alla santità. Ippolito, sacerdote, colto e austero, poco incline all'indulgenza e timoroso che in ogni riforma si celasse l'errore, era giunto ad accusare di eresia lo stesso pontefice S. Zefirino e il diacono Callisto, e quando quest'ultimo fu eletto papa nel 217, si ribellò, accettando di essere lui stesso invalidamente eletto dai suoi partigiani.
Si mantenne nello scisma anche durante il pontificato di S. Urbano I e di S. Ponziano. Intanto l'imperatore Alessandro Severo veniva ucciso in Germania dai suoi legionari e gli subentrava il trace Massimino, che rispolverò gli antichi editti persecutori nei confronti dei cristiani. Trovandosi di fronte a una Chiesa con due capi, senza pensarci su spedì entrambi ai lavori forzati in una miniera della Sardegna. Ponziano è il primo papa deportato. Era un fatto nuovo che si verificava nella Chiesa e Ponziano seppe risolverlo con saggezza e umiltà: perché i cristiani non fossero privati del loro pastore rinunciò al pontificato, e anche questa spontanea rinuncia è un fatto nuovo.
A succedergli fu il greco Antero, che governò la Chiesa per quaranta giorni soltanto. Il gesto generoso di Ponziano deve aver commosso l'intransigente Ippolito che morì infatti riconciliato con la Chiesa nel 235. Secondo un'epigrafe dettata da papa Damaso, Ippolito, pur essendosi ostinato nello scisma per un malinteso zelo, nell'ora della prova "al tempo in cui la spada dilaniava le viscere della madre Chiesa, mentre fedele a Cristo camminava verso il regno dei santi", ai seguaci che gli domandavano quale pastore seguire indicò il legittimo papa come unica guida e "per questa professione di fede meritò d'essere nostro martire". D'altronde studi recenti porterebbero a distinguere tre diversi personaggi: un Ippolito vescovo e scrittore, un Ippolito martire romano e un terzo, autore di saggi filosofici, da identificarsi con l'antipapa contrapposto a Callisto e a Ponziano. I corpi dei due martiri, trasportati a Roma con grande onore vennero sepolti, Ippolito lungo la via Tiburtina e Ponziano nelle catacombe di S. Callisto.
Ponziano, dell'antica e nobile famiglia dei Calpurni, venne eletto papa nel 230, durante l'impero del mite e saggio Alessandro Severo, la cui tolleranza in fatto di religione permise alla Chiesa di riorganizzarsi. Ma proprio in questa parentesi di pace avvenne nella Chiesa di Roma la prima funesta scissione che contrappose al legittimo pontefice un antipapa, nella persona di quell'Ippolito, restituito da un provvidenziale martirio all'unità e alla santità. Ippolito, sacerdote, colto e austero, poco incline all'indulgenza e timoroso che in ogni riforma si celasse l'errore, era giunto ad accusare di eresia lo stesso pontefice S. Zefirino e il diacono Callisto, e quando quest'ultimo fu eletto papa nel 217, si ribellò, accettando di essere lui stesso invalidamente eletto dai suoi partigiani.
Si mantenne nello scisma anche durante il pontificato di S. Urbano I e di S. Ponziano. Intanto l'imperatore Alessandro Severo veniva ucciso in Germania dai suoi legionari e gli subentrava il trace Massimino, che rispolverò gli antichi editti persecutori nei confronti dei cristiani. Trovandosi di fronte a una Chiesa con due capi, senza pensarci su spedì entrambi ai lavori forzati in una miniera della Sardegna. Ponziano è il primo papa deportato. Era un fatto nuovo che si verificava nella Chiesa e Ponziano seppe risolverlo con saggezza e umiltà: perché i cristiani non fossero privati del loro pastore rinunciò al pontificato, e anche questa spontanea rinuncia è un fatto nuovo.
A succedergli fu il greco Antero, che governò la Chiesa per quaranta giorni soltanto. Il gesto generoso di Ponziano deve aver commosso l'intransigente Ippolito che morì infatti riconciliato con la Chiesa nel 235. Secondo un'epigrafe dettata da papa Damaso, Ippolito, pur essendosi ostinato nello scisma per un malinteso zelo, nell'ora della prova "al tempo in cui la spada dilaniava le viscere della madre Chiesa, mentre fedele a Cristo camminava verso il regno dei santi", ai seguaci che gli domandavano quale pastore seguire indicò il legittimo papa come unica guida e "per questa professione di fede meritò d'essere nostro martire". D'altronde studi recenti porterebbero a distinguere tre diversi personaggi: un Ippolito vescovo e scrittore, un Ippolito martire romano e un terzo, autore di saggi filosofici, da identificarsi con l'antipapa contrapposto a Callisto e a Ponziano. I corpi dei due martiri, trasportati a Roma con grande onore vennero sepolti, Ippolito lungo la via Tiburtina e Ponziano nelle catacombe di S. Callisto.