L'acqua c'è, ma non tutti possono usarla
Di acqua dolce c'è abbondante disponibilità nel mondo eppure 1,1 miliardi di persone non vi hanno accesso. E' un problema di governabilità, dice l'Onu.
Di acqua dolce c'è abbondante disponibilità nel mondo eppure 1,1 miliardi di persone non vi hanno accesso. E' un problema di governabilità, dice l'Onu.
Oggi,
nel pianeta, 1,1 miliardi di persone non hanno accesso all’acqua
potabile, mentre per 2,6 miliardi di persone mancano i servizi sanitari
di base. Otto milioni di persone l'anno muoiono a causa della mancanza
d’acqua e delle malattie legate alla mancanza di servizi
igienico-sanitari (3.900 bambini al giorno) e secondo le stime dell'Onu
nel 2030 fino a tre miliardi di persone potrebbero rimanere senz'acqua. Queste
cifre, che è bene ricordare nella Giornata mondiale dell'acqua che dal
1992 si celebra ogni 22 marzo, non sono il frutto di una mancanza della
risorsa. Il totale dell’acqua dolce disponibile per gli ecosistemi e per
gli uomini è di 200.000 km3 d’acqua, che corrisponde all’1% di tutte le
risorse d’acqua dolce e solo lo 0,01 di tutta l’acqua della terra. Ma
questo 0,01 % sarebbe sufficiente per le esigenze di tutte le
popolazioni. Si legge infatti nel rapporto sullo sviluppo umano 2006 del
Programma ONU per lo Sviluppo, intitolato “Al di là della scarsità: il
potere, la povertà e la crisi idrica globale”: “Il problema con cui ci
confrontiamo è soprattutto un problema di governabilità: come
condividere l’acqua in modo equo assicurando la sostenibilità degli
ecosistemi”. Nell’Africa
sahariana, oltre il 42% della popolazione non ha accesso all'acqua
potabile e solo il 36% dispone di un gabinetto. La situazione più
drammatica riguarda le campagne: niente pozzi né installazioni idriche;
niente fonti idriche né cisterne per raccogliere l’acqua piovana. Solo
poco più di un terzo della popolazione dell’Asia meridionale – secondo
dati UNICEF - ha accesso ai servizi sanitari. Oltre la metà della
popolazione priva di servizi igienici vive in Cina e in India,
determinando un ambiente inquinato da rifiuti organici. Un'altra
minaccia per i bambini della regione è rappresentata dalla qualità
dell'acqua; pericolose sostanze, come l’arsenico e il fluoro,
contaminano le falde acquifere, mettendo a serio rischio la salute di 50
milioni di persone. In
Europa centrale e orientale, le riserve idriche stanno diminuendo come
conseguenza dei cambiamenti ambientali, e i sistemi idrici nazionali
incontrano grandi difficoltà nel far fronte alla situazione. Inoltre, i
gravi squilibri nell'accesso all'acqua e la mancanza di una cooperazione
regionale per la gestione delle risorse idriche esistenti, lasciano i
bambini più poveri esclusi dai servizi più elementari. Si tratta di
Paesi come Azerbaijan, Tagikistan, Macedonia, Turchia, Uzbekistan,
Turkmenistan, Polonia, in cui gran parte della popolazione beve e usa
l'acqua di pozzi contaminati dai vicini scarichi fognari. Basti pensare
che la difficoltà di accesso all'acqua in Europa è causa, ogni anno,
della morte di circa 13.500 bambini al di sotto dei 14 anni: di questi,
11 mila sono concentrati nell'Europa centrale e orientale.
In
America Latina sussistono enormi disuguaglianze nei servizi idrici e
igienico-sanitari sia all'interno che tra i vari Paesi. I bambini delle
zone rurali vivono una situazione peggiore rispetto a quelli delle
città, e in tutta la regione povertà ed esclusione sociale fanno sì che
gruppi indigeni e minoranze si vedano ampiamente negato il diritto a
tali servizi. Se
per un cittadino del Nord America o dell’Unione europea, ci sono oltre
diecimila metri cubici annui di acqua potabile, per uno del Madagascar
(uno dei paesi africani in condizioni migliori) si scende a 3.500, in
Giordania a 260, molto meno di un litro al giorno. A questo si aggiunge
che nel Medio Oriente, ed in particolare in Turchia, Siria, Isarele,
Palestina ed Iraq, il possesso e il controllo dell’acqua rivestono
purtroppo, ormai, un valore strategico.Si
tratta, quindi, di un problema da gestire attraverso la politica, che
richiede interventi non più rinviabili della comunità internazionale, in
termini di investimenti adeguati e di controlli, se è vero – è il
rapporto del 2006 dell’ONU ad affermarlo - che la prima causa della
scarsità d’acqua è da imputare a “mala gestione, corruzione, mancanza di
istruzioni appropriate, inerzia burocratica e scarsi investimenti per
costruire competenze umane ed infrastrutture”. A Nairobi, in Kenya, i
poveri pagano un litro d’acqua dieci volte di più di quanto la pagano i
ricchi che vivono nella stessa città. Non avere accesso ai servizi
igienico-sanitari in baraccopoli come Libera, nei sobborghi della
capitale del Kenya, significa che la gente defeca in buste di plastica e
poi le getta dentro fogne a cielo aperto nelle strade, perché non ha
altra scelta. Le famiglie più povere del Salvador, del Nicaragua e della
Giamaica, spendono in media più del 10% del loro reddito per l’acqua. A
Manila, nelle Filippine, l’acqua costa 2,5 volte in più che a New York,
ad Accra, in Ghana, quasi tre volte, a Barranquilla, in Colombia, oltre
cinque volte. Nelle
aree sottosviluppate, i poveri bevono acqua non potabile - e quindi si
registra un’incidenza di malattie molto grave – perché non esistono le
strutture adeguate per ottenere acqua pulita, che a loro costa più soldi
rispetto agli abitanti dei paesi ricchi. Esiste,
quindi, un solido legame tra sottosviluppo e mancanza della risorsa
idrica ed è questo rapporto che occorre rompere. Come ha ricordato in un
recente convegno il vescovo Mario Toso, segretario del Pontificio
Consiglio della Giustizia e della Pace: “I poveri del mondo soffrono
spesso non tanto per la scarsità di acqua in sé, quanto per
l’impossibilità economica di accedervi”.L’”affare”
intorno all’acqua rappresenta un giro economico grande, molto grande.
Ma non è la questione del business – pur importante - quella principale.
Nella Caritas in Veritate, Benedetto XVI scrive: “Il diritto
all'alimentazione, così come quello all'acqua rivestono un ruolo
importante per il conseguimento di altri diritti, ad iniziare,
innanzitutto, dal diritto primario alla vita. È necessario, pertanto,
che maturi una coscienza solidale che consideri l'alimentazione e
l'accesso all'acqua come diritti universali di tutti gli esseri umani,
senza distinzioni né discriminazioni”. Per garantire quest’obiettivo,
occorre che ai Paesi poveri siano trasferite le tecnologie e le risorse
economiche perché - attraverso gli investimenti necessari - si dotino
delle infrastrutture indispensabili per accedere alla risorsa acqua.
Solo così, si potrà considerare il bene acqua equivalente ad un diritto
fondamentale.
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